domenica 22 dicembre 2013

CARO AUTORE

Rendo qui pubblica una lettera a me indirizzata da una non nota casa editrice (Ogni riferimento è quantomeno casuale):


Gentile Autore,

nel ringraziarLa per l’invio del manoscritto vorremmo sottoporre alla Sua attenzione alcune riflessioni:

il suo è solo l’x-millesimo tomo che riceviamo, ma senza impaurirci davanti alla mole di lavoro, troveremo anche il coraggio di leggerlo e valutarlo;

il mercato assorbe si e no uno o due best seller l’anno e quasi sempre da autori che già hanno faticato e fatto lunga gavetta per riuscire a compiacere molti gusti letterari allo stesso tempo;

sempre nella speranza e attesa che si presenti anche a noi una buona occasione, stiamo mettendo a punto tecniche e motivazioni che spingano qualche buon tempone a fingersi ghost-writer;

il marketing e la promozione di qualsiasi opera scaturita da ingegni e fantasie spesso affette da mali non ancora riconosciuti costa tanto quanto approntare un missile per il lancio di una sonda spaziale delle telecomunicazioni e noi siamo si e no armati della fionda di Davide contro Golia, quella originale s’intende;

la Sua coscienza di artigiano probabilmente le ha suggerito di presentarsi con umiltà e volontà di sottostare alle nostre regole e giudizi, mentre la bramosia di fama e successo la spinge all’alterigia e alla prosopopea;

le poche persone che hanno letto il suo scritto in anteprima le avranno dato parere favorevole, ma sono quasi certamente tutti amici e parenti suoi con scarsa formazione scolastica;

infine la perdita dell’ultimo posto di lavoro, da precario, le impone guadagni in grado di sostenere la sua numerosa prole, moglie casalinga per forza maggiore ma anche per dedizione compresa.

Tutto questo per noi giustifica una strettissima scelta delle pubblicazioni, sia per qualità che per quantità. Essendo poi che la cultura è un bene di massa e in quanto tale non più apprezzabile e che la scrittura non è più elitaria, andremo a ricercare il messaggio che lei vorrebbe eventualmente riferire al pubblico mondiale con il lanternino da Sofocle.

Qualora ritenessimo che quanto da lei consegnatoci valga, la sottoporremo a uno stressante e impegnativissimo lavoro di editing e revisione per stravolgere quanto da lei ideato e farlo diventare un commercial per lettori compulsivi. E andremo avanti con trailer e video-letture, con presentazioni e comparsate in trasmissioni popolari del lunedì pomeriggio, stralci su internet e recensioni del Signor Rossi.

Se non basterà, programmeremo uscite nei vari mercatini di Natale di tutto l’Alto Adige con Lei in abiti da Befana con la gerla sempre piena di copie omaggio che non compariranno mai nelle sue statistiche di vendita. Chiaramente le verrà vietata in tale occasione la consumazione di grog, vin brulé, panettone o torrone, neppure morbido e le spese di trasferta saranno a esclusivo carico suo.

Per quanto alle librerie, Le faremo pervenire ogni settimana presso il suo indirizzo di residenza un bancale di copie da distribuire porta a porta, sempre a suo carico.

Quindi si metta pure comodo in poltrona e cominci a rispondere alle domande FAQ che abbiamo predisposto sulla sua pagina Facebook con sistema T9, sola versione giapponese.

Sedendo aspetti che le inviamo il nostro contratto capestro con royalties dello 0,0001% sulle vendite dei primi due anni e accredito sul Suo conto solo a sei mesi dopo la fine di tale periodo e non al di sotto dei primi 10.000 Euro.

Si sieda e sogni di venir intervistato da David Letterman via satellite o convocato via telefono in udienza pubblica da Papa Bergoglio al quale regalerà una copia con copertina cartonata rivestita in pitone e rilegata in oro con scritte in platino e diamanti. Naturalmente da Lei autografata solo in presenza di Sua Santità nella Sala Nervi con una Mont Blanc Elite - Exclusive Selection.

Non si addormenti però, perché potrebbe sempre videochiamarLa Barbara d’Urso per chiedere la sua opinione sul lato B di Belen Rodriguez o Bruno Vespa.

Non si spaventi nemmeno se alla sua porta invece si presentano gli Avion Travel o Miguel Bosè che le offrono un loro concerto di tre giorni, vitto e alloggio inclusi, con permesso 24/24 di seguirli nel loro backstage e persino sul loro camper.

Non le capiterà di ricevere di certo Staffelli con un tapiro o Mingo che le porge un provolone grosso il doppio di Fabio e Luca Abete con una pigna che le arriverà in testa. Abbiamo già allertato la redazione di Striscia per un possibile futuro plagio di pregio e ci hanno subito comunicato la loro disponibilità, assieme alla CODACONS, a stare sul pezzo. Militello sta già contattando varie sezioni Ultras della Sua squadra del cuore per approntare striscioni appositi da esporre in occasione del prossimo derby che verranno poi linkati su You-Tube.

Sieda comodo e aspetti che la contattiamo noi: ogni suo tentativo di richiedere informazioni sullo stato di avanzamento lavori la farà retrocedere di 1000 punti spesa da Mc Donald’s e tutti i suoi buoni benzina YOU & ENI detratti direttamente dalla Sua AGIP Card, la cui convenzione prevede la possibilità di uno sconto sulla redazione della cartella stampa.

Attenda… che la sua copia cartacea con i preziosi appunti dettati da Camilleri in persona non le venga più restituita, nemmeno con spedizione raccomandata espresso tramite corriere a suo carico, ma che noi provvederemo a pubblicare subito dopo la sua morte.

Tutto questo poi lo potrà avere senza l’esborso di un millicentesimo di Euro.

Cordiali saluti.

Dr. Alberto Gattaro
Direttore Responsabile – Collana “I Gufi

 
 

venerdì 6 dicembre 2013

FOLLIA QUOTIDIANA


I ragazzi, di qualunque età, scatenano la loro gioia, i loro problemi e le loro ansie nel cortile della scuola. Lì ne succedono di storie, ordinarie, brutte o belle. O folli per un coraggio civile che dovrebbe splendere negli animi di ciascuno. C’è molta diversità di etnie che si riversa con qualsiasi tempo a prendere una boccata d’aria nel quarto d’ora di intervallo, gruppi nemici in patria che qui, da profughi o immigrati, perseverano nelle loro lotte ataviche.
Bisogna fare molta attenzione che non si venga alle mani, che il limite non venga superato, che non ci siano danni né a cose né a persone. Occhi vigili e silenziosi seguono una panoramica di 200 gradi con circospezione. E registrano.
Loro lo sanno, ma non gliene importa. Loro hanno solo una meta: la supremazia sugli altri.
Mario, professore di italiano alla Media “PASCALE” sta volentieri di sorveglianza durante la ricreazione, soprattutto quest’anno, con la collega di inglese, una italo-canadese arrivata da lontano e ancora molto disorientata, in giro, ritenendo la pausa un’unica se non rara occasione per qualche timido approccio.
Anche quel giorno i soliti facinorosi si fiondano sul ring, circondati da tifosi e bookmaker in erba. Le scommesse sono a base di merendine e qualche doppione di figurina. Al massimo una ricarica da 5 Euro o copia crackata del videogioco di moda. Il backstage si affolla di fan di Twitter e Facebook che agitano indisturbati i loro pollici sulle tastiere. Sembra tutto tranquillo in una primavera che ha deciso di irrompere tra i rami e le case.
I due capi “cosca”, Roman il serbo, quindici anni, ancora in seconda e Ivan, croato, tredici, della terza E, si fronteggiano proprio al centro del parcheggio interno con sguardi minacciosi. Mario se ne accorge, ma vuole vedere dove i due vogliono arrivare. Si avvicina con nonchalance, soprattutto per ascoltare. Invece raccoglie solo sguardi e trova nei loro occhi tutto l’odio che generazioni hanno covato nei secoli, tra guerre e dittature. Percepisce la tensione e si irrigidisce. Ora tutto può succedere al volo di una mosca. Non un muscolo si sposta. Non una carta vola. Da lontano solo il contatore e il suo tichettio alla rovescia.
In quei pochi metri quadri il destino fa il suo gioco. Null’altro interessa. Si attende il momento buono. Loro lo sanno quando arriva.
Al trillo della campanella per il rientro scattano fulminei sciabolando i loro svizzeri a serramanico celati in un taschino. Mario li sorprende e agguanta i polsi di ognuno con presa salda e stretta. Uno sguardo a destra e uno a sinistra, mentre il pubblico si dilegua.
Pauline, la prof, lo fissa e non riesce a muoversi dal posto, intralciando il passaggio del Preside precipitatosi a dirimere una questione che ora non esiste più, per lo meno nella sua manifestazione fisica. I coltellini cadono, i contendenti spariscono nelle rispettive classi, sicuri di venire interrogati nelle materie successive o sottoposti a compito in classe non annunciato con tema unico. I bookmaker intasano i bagni per fare i conti in tranquillità.
Mario rimane immobile, come qualcuno che viene beccato sul fatto. Il preside lo raggiunge e lo convoca nel suo ufficio. Subito, immediatamente è il comando. Bisogna obbedire, pena nota sospensiva.
La vergogna gli si legge in faccia: ha osato intromettersi. Pazzo. Perché. Cerca il contatto visivo con Manuela, la segretaria, che non ha il tempo di alzare la testa dalle fatture e dai verbali da trascrivere. Solo davanti al suo superiore, non sa come giustificarsi. Sarebbe facile se le sue motivazioni venissero riconosciute, ma il preside vuole disciplina soprattutto dagli insegnanti.
“Disciplina vuol dire essere autorevoli senza immischiarsi, senza mettersi in mezzo o rimetterci le penne. Quel pericolo è scontato che un giorno o l’altro viene a cosa, ma per ora cerchiamo di non soffiare sulle braci, capito?”
Il discorso rotola. Mario a stento trattiene l’impulso a rispondere, a dirgli che ci vuole coraggio. Sì coraggio, quello delle proprie azioni in favore del bene, della pace, dell’armonia e anche, sì, anche dell’integrazione.
Invece tace e gli si arroventano le guance. Il preside lo guarda da vicino, troppo vicino, in attesa di reazione. Non se la meriterebbe e poi tutto tempo sprecato con quello, un rifiuto della mafietta locale, un debole dalla mediocrità supersonica che arranca aggrappato alle sue relazioni importanti, rimanendo sempre portaborse.
Una nuova sconfitta: anche stavolta ha vinto la falsa moralità del “non è successo nulla”. Forse sarà anche stato uno scherzo tanto per far arrabbiare qualcuno. E ci riescono appieno.
Nel tornare al suo lavoro Mario passa accanto all’aula dove Pauline sta facendo lezione. Parla nella sua lingua madre e la voce risuona armoniosa. Sarebbe naturale tornare alla normalità lasciandosi alle spalle un fatto senza conseguenze apparenti.
Il coraggio a volte sorpassa in curva la rabbia per l’ingiustizia e spinge la gente ad azioni più pericolose di quelle che vorrebbero spegnere. Mario non è il colpevole, ma si sente tale.
Dover subire umiliazioni o solo ramanzine per aver dimostrato di voler porre fine a una stupida diatriba tra ragazzini prima che succeda qualcosa di cui ci si potrebbe poi pentire. Questo lo distrugge. La rabbia sale mentre scende gli scalini d’uscita. Andarsene da quel luogo, da tutto e da tutti. No non da Pauline che forse capirebbe.
Lei lo osserva come sempre dalla finestra del primo piano che dà sul cortile. A Toronto ha assistito a molte altre scene di violenza, ma nessuno aveva mai osato in quel modo. Nella sua mente solo un pazzo lo avrebbe fatto. A proprie spese.

sabato 26 ottobre 2013

AVE MANIA


“…Buon Giorno, cari cristiani. Diamo inizio alla nostra giornata con l’ascolto della Santa Messa …”
Ecco, ogni mattina questa è la mia sveglia: messa e dopo rosario e poi il vespro …

Quando ero piccolo le preghiere le dicevano le donne che in casa non avevano niente da fare, andandosene in Chiesa per tutti, lasciando lavorare gli altri in pace.
Mia moglie invece prega anche quando stira! Per fortuna camicie e pantaloni vengono sempre perfetti. Sarà forse per abitudine o pratica anche…
Non ho un minuto di silenzio e sono obbligato a isolarmi con dei tappi nelle orecchie come una bottiglia di quello buono.

Il prete dice la domenica: ”andate in pace che la messa è finita”, ma se sapesse che da me la pace non c’è più proprio per le sue funzioni!
Almeno pregasse in silenzio! Forse i frati la saprebbero indottrinare, ma lei non vuole andare in convento. Mi risponde che non ha peccati da scontare …  e intanto passa l’Ave Maria a ogni ora dalla radio, dalla televisione …
E allora mi tocca pregare a me il padre terno che se la prenda, ma mi sa che quello non la vuole e me la lascia proprio perché ha paura che anche lassù… e dato che ci starebbe per l’eternità, quella sarebbe benissimo capace di continuare indisturbata.

Non posso che restare qui, prigioniero di questa mania. Sono in pensione, ma al bar non ci posso andare che le voci girano. Ma non poteva prendere l’Alzheimer o altro? Per lo meno avrebbe un’attenuante, o rimaneva insemenia per una ragione.
Ogni altro giorno poi in pellegrinaggio: al Santo a Padova, al Monte Berico, a Praglia una domenica sì e l’altra anche. E io non posso stare a casa che “Devo” andare con lei!
D’estate, quando si potrebbe godere di un po’ di sole, anche solo a Sottomarina, via a Medjugorie. Ogni anno! Ho chiesto al parroco se fosse possibile almeno cambiare destinazione, ma lui, inflessibile:
“Non si può, che siamo convenzionati”
Avrei provato con Lourdes che forse lì la Madonnina mi faceva diventare storpio, scemo o … sordo.

Ma cosa avrei fatto io per…
Mi hanno sempre detto di non sposarla, quella lì, strega e matta. Adesso mi liquidano con “hai voluto la bcicletta, Bepi, allora adesso pedali!”
Non riesco a sopportarla e venderla non si può. Ammazzarla! Ah, quanto lo vorrei… ce ne sono tanti che lo fanno, perché non io! O mandarle qualche fattura… no poi arriva a me il conto, e giù soldi!

“AVE MARIA, PIENA DE GRASSIA…” No, di tante preghiere nemmeno una è stata esaudita. Anche i Santi in Paradiso hanno orecchie da mercante?
Così siamo ridotti in questa famiglia.
Sono andato all’Amplifon, ma mi hanno detto che il mio udito è quello di un giovanotto. Ho provato pure all’Enel, ma mi rispondono che se non ci sono fondati motivi, la corrente non la staccano. Allora sono andato da mio nipote che con le radio ci traffica da un po’. Lui mi ha detto che Radio Maria si prende anche in Streaming. Cosa? Stremi? Con il computer, nonno! Mi ha gridato dietro. E comunque nei negozi le radioline a pile non costano tanto, poco più di un caffè.

Quando siamo stati a Roma che era morto da poco l’altro papa, mi ha fatto vedere una scatoletta parlante che ripeteva il rosario.
“È per quelli che stanno a letto o non si reggono in piedi o non possono andare in chiesa. Solo Pater e Ave, purtroppo”
Anche troppo dico io. E per fortuna non gliela ho presa perché altrimenti la teneva accesa anche di notte… e addio sonno. Certo meglio del russare, ma…

Veramente non so più cosa fare. È il mio inferno, la mia croce. E poi se me ne vado prima io?
“AVE MARIA, AVE MARIA, FA’ CHE QUALCUNO SE LA PORTI VIA!”

 Via, via, ah quanto vorrei che la andasse…! Aspetta un po’: in bagno mi par di aver visto qualcosa.
Ecco, questo. No è per le verruche. Staltro: mal di testa. Sto qui: aspirina. Queste invece? Cialde di carbone. Effetto astringente. No è il contrario e quindi gliele nascondo subito. Niente: mI tocca proprio andare in farmacia, ma non avrò problemi, che quel disturbo lì può venire a tutti. Basta che non abbia odore o sapore forte tipo el ricino.
Poi qualche goccia al mattino nel caffèlatte, aumentando l’effetto del latte. A mezzogiorno nella minestra e la sera nella verdura. Lei si lamenta sempre….
Si, questa è la soluzione: poi vado a chiamare il medico e resto fuori due ore; aspettiamo la bulansa e ne passa ancora una. Poi al pronto soccorso,… sempre che la prendano.
Sì dai, almeno lì è sorvegliata e me ne sto tranquillo per qualche giorno. Poi coi medici ci parlo io e ci dico le cose. Magari le prescrivono anche pillole: sonniferi, tranquillanti…

E se non basta, giù col bastone.
Se non basta… dovrebbero bastarle una notte o due in penitensa sul cerchio a cantare le sue litanie. Poi cosa vuoi che mi accusi: di averla mandata a….?

Poi , poi… chiamerò Gigi, il mio amico, che col suo tratore va sempre in serca di concime biologico. E più bio di quello! Ecco sistemato. Tanto quelle pompe le dovevo far venire lo stesso che è un po’ che non svuotiamo.

E per farla stare buona la chiudo dentro e stacco pure la corente che non funsioni manco la ventola.

Ave Mania, Madonina mia, fa che la spussa se la porti via!

 

 

lunedì 14 ottobre 2013

Varie Fiammelle


Simili a Mammelle

Nutrono

Sgusciano

Si torcono

E avviluppano

Attorno a ceppi incandescenti

Illuminano, scalpitano, gridano

Distruggono, sfavillano, spargono scintille

Sorretti da possenti alari

Salgono fino al cielo

Crescendo spaventose

Trasudano fatica

Per ripiombare a terra

Spinti da razzi incandescenti

Che raggiungono pianeti lontani o solo l’infinito

Scoloriscono al tramonto

Per rischiarare la notte dei pensieri

Per riscaldare cuori affranti

O unire vite solitarie

Piccole fiammelle vanno per la città

A segnare il cammino di domani.

Cenere ne resta che poi vola via col vento.

Grandi Magnolie


All’ombra di grandi magnolie

Stordite da troppa secchezza

Di un’estate non comune

Volto pagine di bianco e nero

Cercando verità

Che altri hanno trovato

Sotto magnolie

Fiorite e odorose

In dolce compagnia

Di pensieri positivi

Alto il successo di quei versi

Che vado inseguendo

Oltre le cime di magnolie mozzate

Per una stagione non proprio comune.

 

 

mercoledì 25 settembre 2013

NON SEMPRE UN CONCORSO...

porta a venir pubblicati senza essere entrati nella rosa dei selezionati.
Avevo partecipato alla selezione del primo concorso "Viaggi di versi" indetto quest'estate dalla Casa editrice PAGINE di Roma con poca speranza, scegliendo però il mio cavallo di battaglia, ovvero DI MEMORIA IL MALE che potete leggere anche in queste pagine e che è già stato oggetto di diversi reading.
Mi contattano dalla redazione a inizio settembre comunicandomi che il pezzo era piaciuto e che in occasione di una prossima pubblicazione con una rosa ristretta di nomi, sarebbe potuta essere inserita assieme ad altre composizioni mie.
Ho accettato un po' titubante e dubbiosa sul fatto che mi si richiedesse un piccolo contributo.
Ho accettato perché le condizioni erano favorevoli e perché mi faceva piacere avere uno spazio mio, per i pezzi migliori anche se solo per tre mesi, per pubblicare su larga scala qualcosa in cui credo, pur restando intestataria dei diritti.
Ho accettato perché... mi piaceva l'idea di essere affiancata ad altre persone che coltivano la mia stessa passione e per il piacere di vedere il mio nome - narcisisticamente parlando - sulla copertina ufficiale di un opera a più mani.
Ora si compie il primo passo ovvero l'offerta sul canale YOUTUBE della CE  del video di "Celi di marzo" che troverete al seguente indirizzo:

 
a cui seguiranno le indicazioni per il sito a me dedicato e le coordinate dell'antologia che segnalerò tempestivamente non appena me le comunicheranno.
Mi auguro possa piacere a molti, nella semplicità e autenticità espressiva.
Grazie in anticipo a quanti vorranno apprezzare tutto questo.

lunedì 10 giugno 2013

DIVERSO SARO' IO

AMARE DIVERSO

 - Steve, dimmi: tu sai amare?
 - Perché non dovrei?
Steve a Diana sono seduti come loro solito sulla panchina del parco. Lei vestita come d’inverno con il cappotto lungo e un fazzoletto stretto attorno al viso; lui invece casual e una giacca primaverile poco vistosa.
Adorano passare ore a discutere di politica, di attualità, di filosofia, di lettere. Si sono conosciuti per caso un pomeriggio  di primavera dove il rinascere della natura aveva rallegrato il cuore di Steve, innamorato da sempre della vita e da poco di Robert, il suo compagno. Diana invece piangeva solitaria, con l’esito del Gravindex tra le mani: positivo.
Steve viveva ancora da solo all’epoca, ma alla vista di quella fanciulla così afflitta da una notizia insolitamente non desiderata, non ci pensò due volte invitandola a casa sua a bere un tè.
“Vedi, questo figlio non è di mio marito. Ho cercato consolazione tra le braccia di un altro. Il mio consorte è più forte di me. Non me ne posso andare. Lui mi troverebbe anche in capo al mondo. Tu non sai cosa mi farebbe poi…”
Steve le stette accanto con amore fraterno anche quando, per le botte durante l’ennesima lite, Diana cadde per le scale e perse quel povero nascituro. Non la lasciò nemmeno quando l’altro, quello con il quale si era consolata, saputo del problema, la piantò senza nemmeno salutarla.
“Maledetti uomini! Maledetti!“ Imprecò Diana, sfogando la sua rabbia davanti all’assistente sociale che, allertata dai medici, cercava di convincerla a rivolgersi alle autorità o per lo meno denunciare il marito. L’avrebbero aiutata a farsi un’altra vita, le avevano assicurato. Le nuove leggi appena approvate lo permettevano, ma Diana fu irremovibile.
“Vuoi fare la vittima tutta la vita?” ribattè Steve a quel racconto.
“Ho altri figli a cui badare. Non voglio che loro ne vadano di mezzo.”
“ Ma lo sono già!”
Diana era testarda e cocciuta, ma in fondo anche una buona madre: se li sarebbe portati nell’aldilà se non avesse visto altra via d’uscita. Per questo bisognava sorvegliarla.
Anche Steve non era da meno e nel tempo libero si mise a pedinare il marito di Diana scoprendo che questi aveva loschi traffici illegali. Diana lo sapeva e per lei quello era un motivo di preoccupazione in più: se qualcosa fosse successo, se qualcosa fosse andato storto, la avrebbero di sicuro presa in ostaggio e Dio solo sa cosa non avrebbero potuto fare, a lei e i due bambini.
Non aveva amiche né parenti che la sostenessero, perché considerata persona non degna. Eppure Diana era di cuore semplice e a modo suo anche onesta e sincera.
Forse lei era solo troppo debole per riuscire ad alzarsi e combattere.
Con Steve era diverso: con lui si sentiva a suo agio, considerata persona  e basta. Non c’erano rivalità tra di loro e interessi in comune ne avevano più di uno. Con Steve accanto dimenticava ogni dolore, fisico e morale. Sembravano conoscersi da una vita.
 Diana era Buddista e Steve era “miscredente”, come amava definirsi, ma la religione non era motivo di diatriba. Ognuno era libero di credere o meno, di praticare o seguire riti e pratiche religiose, così come a ogni elezione, democratica lei, conservatore lui, ognuno seguiva nella segretezza dell’urna i propri convincimenti.
La gente cominciava però a sparlare di quella coppia così male assortita e se non fosse stato chiaro che Steve stesse assieme a Robert, avrebbero perfino giurato che lui fosse un distruggi famiglie.
Dietro le ombre scure di Diana però, c’erano altri motivi: il marito le imputava delle incompetenze ogni volta diverse, errori sempre più gravi, delle dimenticanze banali, delle sviste e noncuranze evidenti. Ma era per Amore e per quello lei doveva sottostargli.
Quel pomeriggio ne parlano a lungo: della terapia di coppia, di divorzio, di trovare riparo e protezione per sé e i bambini. Le soluzioni a quella situazione se ne contano a decine. Diana col tempo si era aperta all’aiuto di Steve e talvolta tornava a casa convinta di aver preso una decisione. Poi la sola presenza del marito la distoglieva dal perseguire ogni intento.
Di volta in volta si era fatto largo anche il dubbio che la vita che conduceva fosse ancora tollerabile.
A quel punto si lascia coinvolgere da una discussione alquanto bizzarra secondo Steve.
“Sai cosa ho pensato in questo periodo?”
“No, dimmi.”
“Hai pensato a qualcosa in particolare?”
“ Oh si: qualcosa di veramente forte, ma ho bisogno del tuo aiuto.”
“Sono qui per te.”
“Semplicemente tenere i bambini per qualche ora.”
“Tu?”
“Non ti preoccupare. Me la saprò cavare.”
Ecco, proprio la frase che Steve non avrebbe mai voluto sentire. L’ansia e la preoccupazione nei suoi riguardi aumentarono, ma come fermarla? Dirle di no era ormai pressoché impossibile e sarebbe stato come tradire la sua fiducia, il suo affetto.
Robert avrebbe capito, anzi sarebbe stato felicissimo di poter essere complice. Steve acconsente assicurando la massima discrezione.
Il pomeriggio successivo si incontrano di nuovo al solito posto, al parco. I bambini hanno sulle spalle i loro zainetti della scuola insolitamente pieni e pesanti. Steve non fa domande e loro lo seguono salutando la mamma con il sorriso triste di chi è consapevole che il futuro avrebbe preso una piega inusuale e forse triste.
Diana é preoccupata ma decisa. Questa volta si sarebbe ribellata al proprio destino. Aveva già pianificato tutto.
Attende il rientro del marito seduta in preghiera nel salotto profumato da mille candele votive. Al suo arrivo non si volta nè gli va incontro. Lui pensa che la moglie sia impazzita o voglia solo fare un altro figlio per salvare il matrimonio. Quando le è di fronte inizia a interrogarla sui motivi di quella scena aumentando il tono della voce e alzando le mani su di lei.
I vicini, ormai abituati  a quei rumori, non si scompongono nemmeno quella sera, alzando semplicemente il volume del loro televisore.
Diana se ne sta così, impassibile alle urla e le bussate del marito che non riescono a scalfirla né a farla desistere dal suo intento. Ribellione pacifica, l’aveva chiamata, una silente richiesta d’aiuto, disperata, esasperata dal tempo e dai modi di lui.
No non era Amore quello, pensa. Non lo poteva essere, perchè manca il rispetto e l’affetto, la cura, la protezione.
Diana lo lascia sfogare, ma reprime la sua rabbia contrapponendola alla relazione con Steve che, anche se non avrebbe mai potuto avere un lieto fine, è una certezza che l’aspetta fuori da quell’incubo.
Nel frattempo Steve, Robert e i  figli di Diana sono occupati a preparare la cena. A qualche chilometro di distanza il sentore di eventi infausti è presente nei timori degli adulti, intenti solo a distrarre i più piccoli. Dovevano aver fiducia, anche se avrebbero preferito stare più vicino alla donna, essere presenti anche fisicamente.
Le ore passano e non giunge alcun segnale. L’ansia e l’angoscia sono al massimo. Bisogna andare a vedere cosa sia successo. Messi a dormire i bimbi sul divano Steve prende l’auto per dirigersi verso la casa di Diana. Durante il tragitto si chiede cosa poteva fare o cosa avrebbe fatto se…. No, non voleva pensarci.
Allertare le autorità magari a vuoto non sarebbe stata la miglior idea. “Prima devo verificare di persona”, si disse per calmarsi un po’. Giunto sul posto si reca dal custode e chiede se avesse sentito nulla di anomalo da quell’appartamento. Gli risponde che c’era stata la solita lite, forse un po’ più aspra del solito, ma da mezz’ora non si sentiva più nulla.
“ Più nulla? Presto, saliamo e speriamo che qualcuno ci apra”.
Steve e il custode salgono al terzo piano saltando i gradini a due a due e giungono al pianerottolo col fiatone. I televisori dei vicini echeggiano ancora ad alto volume, ma altro non si ode. Bussano all’interno di Diana. Silenzio. Riprovano senza risultato.
In fondo al corridoio una porta si apre per richiudersi subito dopo.
Sguardi indiscreti e curiosi si percepiscono al di là di altre porte che rimangono chiuse. Silenzio.
Il custode decide di chiamare la polizia vedendo il viso di Steve che si era spacciato per parente, diventare verde dalla rabbia repressa e dalla espressione di chi sia in procinto di saltare.
Steve non attende oltre. Quel silenzio per lui è un bruttissimo segno e lo fa capire al custode.
Anche le autorità danno il loro benestare per sfondare la porta. Un’ambulanza e una pattuglia sarebbero arrivate di lì a poco.
I due uniscono le forze e dopo un paio di tentativi riescono ad aprirsi un varco. Le candele ardono ancora, sparse ovunque, ridotte al minimo o sul punto di spegnersi.
Odore di rosa si spande in tutti gli ambienti in varie sfumature. La luce è staccata per un relé saltato.
Cercano in ogni stanza e per ultimo in bagno….
Diana è seduta sul bordo della vasca, con lo sguardo perso, assente. Il marito sdraiato nella vasca ripiena d’acqua e con il rubinetto della calda aperto al massimo. Le sue braccia penzolano fuori, il capo piegato su un lato.
Il custode capisce e, preso un asciugamano, chiude il rubinetto. Steve abbraccia Diana desideroso di portarla fuori, via da quell’incubo, da quell’ orrore
Dalla finestra il lampeggiante blu dell’ambulanza. Il custode sparisce dalla porta per andare a fare strada alle autorità.
Con un soffio di fiato Diana sussurra all’orecchio di Steve:
“Vedi, che ti dicevo? L’ho fatto per Amore. Tu ne saresti stato capace?”
A Steve mancano le parole. Non riesce nemmeno a pronunciare quel “ma io veramente…” che gli era balenato poco prima. Se ne sta lì, muto e contrito sorreggendo Diana con il suo abbraccio.
Arrivano i soccorsi, ma non possono far altro che constatare la morte del marito di Diana.
“Una tragica fatalità, spiegò lei: il fon le cadde nella vasca ancora acceso, proprio quando il marito stava alzandosi per uscire. Cadendo deve aver battuto la testa e non si è più rialzato”.
Le autorità le credettero, stranamente e il caso fu archiviato.
Qualche mese dopo Steve le annunciò il suo matrimonio con Robert e le chiese di fargli da testimone.
“ Non lo so. Scusa, devo pensarci”.
“ Ma come, tu , la mia migliore amica, quella a cui io ho fatto da complice…”
“No, non è per quello. Non so ancora se tu sai amare!”

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Il racconto avrebbe potuto partecipare al concorso del Forum PESCEPIRATA  indetto il mese scorso, ma già i primi due in lizza erano di gran lunga di qualità superiore.
Andateli a leggere nella sezione dedicata su www.pescepirata.it/aspiranti_scrittori/

giovedì 30 maggio 2013

PIETRE SONANTI


Echi atavici
Vibrazioni aeree
Tocco dell’anima
Melodie essenziali
Sensi rapiti
Significato negato
Ombre nascoste
Dissolte nel vento

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Componimento ispirato alla mostra di sculture sonanti di Petruccio Sciola a Padova - maggio 2013

mercoledì 15 maggio 2013

PIANGERE

Piange Genova, i morti per una manovra sbagliata, seppelliti tra detriti, rottami e acque portuali.
Piange l'Italia, il lavoro del governo che si deve ritirare in convento per essere una squadra.
Piange l'Europa, che voleva realizzare il sogno degli imperatori del passato, ora divisa più di prima.
Piange la Terra, per una crisi che non passa, per un tunnel senza fine, dove all'angolo si scava già la prossima galleria.
Piange l'Universo. per i tanti relitti sporchi che non gli appartengono.
Piange la formica, per lo sforzo sovrannaturale a raggiungere quella piccola goccia di rugiada in cima al filo d'erba.

Quella forse sarà la sua salvezza.


(Pubblicato anche su: Diario di Brodo per www.licetti.blogfree.net)

venerdì 19 aprile 2013

ZUCCHERO SCANDITO

“Noi siamo quello che mangiamo” e ancora ”Il cibo influenza il nostro essere”. Queste frasi mi frullano come turbini nella mente, ora che sono appena uscita dallo studio medico.
«Disturbi nell’assimilazione degli zuccheri» questa l’amara sentenza del medico che reggeva tra mani impazienti i risultati delle mie analisi e degli esami relativi. « Non c’è bisogno di insulina né di medicine, per il momento, ma il problema non è da sottovalutare, soprattutto alla sua età.»
In questa bellissima giornata di primavera le lacrime sgorgano generose dai miei occhi. Girovago senza meta nei vicoli della mia città. Mi trovo di fronte a un parco giochi dove bimbi vocianti  corrono e si rincorrono con allegria. Mi siedo su una panchina accanto a un anziano signore che sta leggendo il giornale. Ci scambiamo un breve cenno di saluto, uno di quelli che si fanno solo per cortesia, perché non conosci la persona, ma vuoi essere educato.  Abbassa per un attimo i grandi fogli che tiene in mano e scorgo un bastone appoggiato al suo fianco.
“Ecco – penso - così mi ridurrò tra poco”. Il mio umore peggiora e nemmeno gli alberi in fiore mi sollevano. È una strana, stupida primavera che non vorrei avere proprio sotto gli occhi. Infatti non la osservo, ma nemmeno la fisso. Il mio sguardo è altrove, ma chissà dove. Si è rintanato nei miei pensieri, nel mio profondo rifiutandosi categoricamente di uscire allo scoperto. Anche dentro è buio, un tunnel infinito senza barlume di lunghezza.
Sono qui seduta, ma non riesco proprio a combinare nulla, nemmeno a pensare. Non voglio, perché mi fa troppo male. Non voglio affrontare il domani, men che meno il dopo.
Spengo il telefonino per non dover rispondere. E come farei se non ho risposte nemmeno per me? Condivisione non serve, anzi sarebbe forse deleteria: tutti mi convincerebbero ad andare avanti.
Mi sento stanca, molto stanca, mentre le lacrime, senza un senso, scorrono giù dalle guance senza freni, come una corsa giù per una salita. Ecco, forse, correre, spazzare via tutto questo pianto inutile.  Correre all’impazzata per stordirsi, per andare incontro al caso e fermarsi solo quando è lui che ti pone una pausa.
“Non è giusto!- grido dentro di me- perché proprio io!” Ma la voce non esce. E improvvisamente mi ricordo di Gesù sulla Croce, lui che di miracoli se ne intendeva, alzare gli occhi al cielo ed invocare, nel momento estremo, la volontà divina.
Forse lo devo accettare come ha fatto lui, immolarmi per far posto a qualcuno che ha un progetto più interessante, importante, urgente. Forse.
I pensieri continuano a turbinare. Mi lascio andare sulla panchina alla stanchezza e chiudo gli occhi: ricordi di tempi felici mi assalgono. Ma quale felicità? Quella del non sapere e della speranza?
Mi alzo, a fatica e, un piede dietro l’altro, mi sposto. Forse la panchina non era il posto adatto. Il malessere è continuo oggi, più incessante e frastornante di sempre. Vorrei urlare: BASTA! Non funzionerebbe, lo so.
Vorrei porre in qualche modo la parola fine a questa storia, ma non ci riesco. Le prospettive di riuscita sono poche, a detta del medico. La mia capacità di sopportazione è nulla.
Sono stanca e non reagisco. Continuo la mia passeggiata attorno al parco solo per inerzia, a testa bassa, il passo stanco. Il vocio dei bambini non mi tocca.
Frugando nella tasca trovo una caramella. Già nel suo aspetto qualcosa di molto dolce. Ma se poi mi fa male?  Chi mi raccoglie? E se mi sento male in casa?
La lascio lì, a continuare a darmi fastidio, ma fuori dalla mia vista. Dall’altro lato della strada una gelateria artigianale. Una voglia. No anche questo potrebbe …. Ma io come farò?
Qualche metro più in là una erboristeria. Non l’avevo mai notata. Devono averla inaugurata di recente. La porta di ingresso è aperta e l’umidità dell’aria amplifica gli odori che ne escono. L’insegna porta la scritta: ”PARAFARMACIA”.  Sugli scaffali una lunga serie di confezioni, scatole, tubetti, vasetti tutti colorati; alla vetrina antica, resto rimodernato di qualche antico negozio, dei contenitori in ceramica con delle scritte quasi illeggibili. Spezie ed erbe medicinali. L’odore è buono, invitante.
Entro nel locale deserto, mi siedo su di una poltroncina e mi guardo attorno. Odore di antico si mischia con il nuovo.  Mi assorgo ancora nei miei pensieri, ma la tristezza non è più tanto cupa.
A passi leggeri arriva qualcuno, forse la titolare, in camice bianco. Si siede accanto a me e mi chiede come sto, come va. Mi dice che sono pallida in volto e mi invita nel retro, per una tazza di tè. Vorrei rimanere lì seduta ancora un poco e non vorrei attardarmi. Con voce suadente, soffusa, la signora mi dice che posso restare e che la tazza me l’avrebbe portata lei.
I miei pensieri si calmano, ma ancora non smettono di  ronzare. Cosa ci faccio qui? Perché mi sono fermata? Tante altre domande si insinuano, domande che non trovano ancora risposta, riscontro.
La signora esce dal retro con un piccolo vassoio in mano sul quale ci sono una tazza fumante, un bricco con del latte, un piattino con dei pasticcini e…. NO! Orrore! Dello zucchero!  La mia smorfia deve essere molto palese. La signora si ferma e mi chiede se abbia qualcosa contro il tè o contro di lei.
“No, nulla di tutto ciò – rispondo  educatamente – è che, vede, proprio oggi, mi hanno diagnosticato  seri problemi con l’assimilazione degli zuccheri,  a me che sin da piccola ne sono sempre stata golosa!”
La farmacista, della quale scorgo il cartellino con il nome e la qualifica appuntato sul bavero del camice, poggia il vassoio e mi dice se voglio andare nel retro a parlarne. Di medici ne ho già visti tanti e ora  dovrei aggiungere pure lei?
Ho bisogno di bere qualcosa e quindi accetto. Dietro una sorta di tenda si apre il retro bottega, nel quale sono sistemati degli scaffali con tantissimi barattoli, scatoloni vuoti, ma anche da svuotare,  una scrivania con un computer, un apparecchio fax che funge da telefono, una lampada. Ancora più dietro,  su un soppalco rialzato da tre larghi e bassi gradini, una specie di ambulatorio con un’altra scrivania piena di carte, un lettino da medico, una poltrona, degli apparecchi medicali. La signora mi spiega che le attuali normative le consentono di fare dei prelievi, di aiutare le persone nelle cure, nelle medicazioni, di dare un servizio basilare, ma efficace e professionale, al malato. Mi parla di volontariato in paesi lontani, ma anche di piccoli incidenti accaduti al parco, di medicazioni eseguite su anziani soli, persino di una aggressione da parte di un drogato in preda ad una crisi. La sua voce è dolce e le mie orecchie cominciano seriamente a darle ascolto.
Qualche sorso della bevanda mi ristora lo stomaco, ma è terribilmente amara. La mia bocca si storce. Proprio questo è il pretesto per parlare dei miei sintomi, del mio umore, della mia vita.
Con esitazione piena di scetticismo estraggo le mie carte dalla borsa e le porgo alla dottoressa. Lei inforca gli occhiali e recita: “Siamo il cibo che mangiamo”. Cominciamo a parlare di medicina e di medicamenti, di soluzioni, di esami, di dettagli, di….
Fortunatamente è presente anche un garzone, magro e alto, con occhiali da miope. Ogni tanto si affaccia al retro, passa a prendere qualcosa, o ci raggiunge con qualche ricetta incomprensibile.  La signora dà il suo responso e quello se ne ritorna in negozio. La conversazione continua, mentre il tempo passa scandito dall’orologio a pendolo del retro. Devono avere staccato il meccanismo delle ore perché non si sentono rintocchi. Le lancette fanno il loro percorso, immutabile, silenzioso.
Ad un certo punto la signora si alza e va a prendere un flaconcino che riempie di pilloline grosse come un chicco di riso. Me lo porge. « Ecco qui. Un nuovo ritrovato. Si chiama “Zucchero Scandito”. Non è né zucchero né un dolcificante, ma rende tutto meno amaro. Lo prenda per il momento a ogni pasto. Una pillolina sola, mi raccomando, alla volta, da sciogliere piano piano sotto la lingua. Le do la dose per  5 pasti al giorno e ci rivediamo tra una settimana.»
“Tutto qui?” La mia bocca non proferisce suono, ma la mia espressione deve aver disegnato molto bene il punto di domanda. Prima di uscire una misurazione di pressione e una prova glicemica di quelle dei diabetici. Esco pagando alla cassa e, tramite tesserino sanitario elettronico, lascio i miei dati. Tutto perfettamente organizzato.
Sulla via di casa mi chiedo: come avrà potuto la farmacista capire di cosa avevo bisogno senza farmi fare corse per esami forse inutili? Avremo chiacchierato di me per forse due ore, mentre tutti i medici ti concedono si e no un quarto d’ora, visita compresa. Chi è poi quella persona? Una farmacista o una santona? Funzionerà davvero questa cura?
Attraverso il parco di nuovo. Mi fermo alla panchina di prima dove il vecchietto col giornale e il bastone non c’è più. Mi siedo  e guardo il flacone. Non c’è scritto altro che: “ZUCCHERO SCANDITO”, quantità 35 pillole, data confezione. Cosa faccio? Le prendo? Mi fido? E se fosse solo un placebo?
Mi guardo attorno e mi accorgo che ora il parco esiste, esiste per i miei occhi, per la mia mente. Guardo in direzione della farmacia. Esiste anche quella?
Improvvisamente mi accorgo di essere passata dalla più buia depressione e tristezza con un risvolto forse suicida, al domandarmi del domani, discutere con me stessa sulla validità di una cura sconosciuta. Nel mezzo un negozio che sa di antico, una persona che sa…. Ascoltare.
Mi alzo di scatto, corro, corro in quella direzione, corro sempre più spedita. Ecco il caso!

mercoledì 20 marzo 2013

Benvenuta, Primavera

PRIMAVERA
E cos’è poi primavera:
caldo tepore,
prati verdi e alberi in fiore
Voi che ancor la vedete
Danz’ella alla brezza dell’ore liete?
Ditele allor  d’andar mesta
Che già estate arriva lesta.
Ditele poi di non pianger sfortuna,
che sempre in ciel sta la luna
Di gioie e dolor è pieno il cammino
Ma di fiori  e colori  ne dà mazzolino.
Or altrove  guardate e nel  futuro sperate
Poi ch’ella ogni anno ritorna dov’era

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CELI DI MARZO

Sereno e azzurro intenso,
il tepore che copre di energia
nel risveglio di sensi e volontà,
la pigrizia del riposo sempre in agguato.
Scure nubi all’orizzonte
Tolgono  vigore ad ogni progetto
Fastidioso spira il vento
Sprezzante dei teneri germogli
La pioggia si fa grassa
D’improvviso
Ma non è che un veloce passaggio
Un lampo, uno squarcio.
Che già l’arcobaleno all’orizzonte
chiude il cerchio dei sogni
 

martedì 12 marzo 2013

LUCI, DARIO.

Prova generale aperta al pubblico e primissima spettacolare attesa da tanto tempo. Gli attori fremono nei loro camerini tra trucco e parrucco, le sartine intente all’ultima stressante prova costume.
La prima donna si concentra sugli esercizi vocali come una soprano della Scala.Il regista passeggia su e giù  dal proscenio ripassando le sequenze, le mani dietro la schiena, tra attrezzisti e fonici.
La stampa oggi deve attendere fuori e il servizio d’ordine fatica a contenere la folla.
Solo lui, Dario, tecnico delle luci, se ne sta tranquillo alla sua postazione già da ore fumando di tanto in tanto una nazionale senza filtro. Conosce a memoria la sua parte, il suo mestiere come a menadito tutto il teatro. I controlli eseguiti e ripetuti più volte. Rischio errore pari a zero.
Tutto è pronto, predisposto, progettato, concordato. Eppure questa sera c’è qualcosa nell’aria, ma nessuno sa dire cosa sia.
La compagnia si raduna al centro del palco per il rito scaramantico. Ci si guarda reciprocamente negli occhi, fiduciosi, speranzosi, ma al contempo anche sospettosi, guardinghi.
Il direttore annuncia che la sala è piena e si può cominciare. Tre colpi di campana, lenti, equidistanti, secchi, invitano a fare silenzio. Le luci in sala vengono spente. La solennità del momento rimane come in sospeso.
Il sipario sale lentamente con lieve fruscio di corde.
Dario è in postazione. La scena si apre in penombra. La consolle risponde lanciando un fascio di faretti dall’alto che si fissano ognuno su un personaggio, lo illumina finché parla e poi si spegne.
Entra Sigfrido. Dario porta in avanti un pulsante per lo spot che lo segue. Botta e risposta con Carlotta. Le luci si alternano alle parole. Scarto minimo dovuto al flusso di corrente., pari all’eco, che fortunatamente è impercettibile.
Gli spot colorati: il blu viene intensificato, il rosso spostato a destra e il giallo ridotto.
Ora bisogna seguire i passi di Rosetta, ma piano, con discrezione.
Effetto campana bianca. No, non sul pubblico! Si distraggono!
Ora da sinistra. Il reflex passa sul fondale, vengono inserite le stelline e tirata giù la strobo.
Il ritmo della luce è più veloce delle battute. Bisogna rallentare altrimenti qualcuna viene saltata o dimenticata e il filo si perde, si rompe.
Questa sera serve a capire le reazioni del pubblico di domani e c’è bisogno di più impegno. Dai, che abbiamo passato momenti peggiori e tu hai sempre risolto ogni problema!
Dario, Dario? Dove sei? Cosa succede? Non fare scherzi proprio adesso! Te l’hanno appena detto che è importante. Nessun’altro sa come far funzionare quel coso! Dai, Dario.
B   U   M
Buio e silenzio. Stranamente nessuno si muove o grida. Tratteniamo tutti il fiato. Il regista chiama Dario al cellulare che gridare sarebbe da maleducati.
Una lucina blu si accende in un angolino del soffitto, nascosto tra impalcature, funi, spot e riflettori. C’è il vibracall che rimbalza  su tutta la struttura.
Il buio permane, ma dal di fuori nessuno lo nota. Strano: nessun reclamo e non si vede nemmeno un  accendino. Maledetti divieti e moda del NO SMOKING.
In scena sono tutti impietriti. Anche il ritorno audio si è spento. Black out?
Sembra che l’intera sala si sia trasformata in quel mondo a sé che tanti immaginano, descritto in tomi e volumi.
Pubblico e attori dipendono ora da una sola persona che non è il regista o almeno non è la persona che fa il regista.
Il tempo scorre nelle vene dei presenti senza dare mostra di sé. L’attesa, prima snervante per la curiosità, ora è timore del futuro. Il senso di orientamento ha perso i suoi punti cardinali.
Ah, se solo quella lucina blu si espandesse e indicasse almeno un punto d’incontro!
Dario non risponde.
DOVE SONO LE CANDELE? – sbraita il regista dal sottopalco con attrezzisti e scenografi impazziti – QUALCUNO VADA A VEDERE COSA È SUCCESSO. ANZI NO, SI VADA AI CONTATORI E SUBITO PER DIO.
Concitazione ma nessuno ha il coraggio di eseguire gli ordini
ALLORA, SIAMO MICA INCOLLATI AL PAVIMENTO? La voce urlante sembra provenire direttamente dagli inferi.
L’incertezza serpeggia voluttuosa come un fiume in piena. Né Dario né la luce manifestano la loro presenza e il mondo esterno sembra non notare quel buco, quell’assenza improvvisa.
Rosetta trema e non per il freddo che avanza. Nessuno la vede. La primadonna ha perso la voce, ma le parole rimastele in gola non hanno né senso né utilità. Sigfrido non è più spavaldo e si rifugia dietro il cordone del sipario.
La situazione è in stallo di looping. Tutti pregano e imprecano contempora-neamente. Non c’è Dio né religione che tenga. Ormai quel che è fatto è fatto, ma forse la causa non siamo noi.
Eppure destino e imprevisto non avevano ricevuto invito. Escluso categoricamente era anche l’errore. Dati tecnici ed esperienza erano necessaria garanzia assoluta. Niente sondaggi per le troppe variabili di improbabilità.
Nell’aria si sentiva qualcosa, ma nessuno l’ha voluto prendere sul serio. Punti deboli nel sistema non ne esistevano e le paratie erano chiuse da tempo.
ALLORA             PERCHÉ?

Siamo qui fermi e inermi in balia di questo buio sconosciuto dal quale vogliamo uscire e lo vogliamo perché non ne capiamo la causa, non ne vediamo la fine né la vogliamo aspettare.
Nessuno si muove e lo spettacolo NON va avanti. Il copione è scritto, nero su bianco: basterebbe seguirlo. O è solo uno spettacolo al buio, forza bruta dell’immaginazione? I ruoli e le parti sono ancora valide o possiamo permetterci varianti? Gli attori potranno ribellarsi? E il regista avrà ancora voce in capitolo? Potrà ancora muovere i fili? Si capirà quando ridere o quando applaudire? Ci basterà il tono della voce?
Dario è l’unico in grado di sbrogliare la matassa, ma di lui non c’è traccia.  Il suo cellulare, a forza di squillare, ha esaurito la batteria. Il puntino blu non si attiva.
Molti ormai hanno il cuore in gola, ma preferiscono tenere l’orecchio teso.
Nel silenzio cupo il sipario cala.
Si riaccendono le luci in sala come per miracolo lasciando trasparire solo grossi sbadigli tra il pubblico. Qualcuno sospira, mentre altri già si avviano all’uscita. Stasera niente applausi.
Prima che si aprano anche le uscite di sicurezza, Dario si sfoga da un altoparlante:
LO SPETTACOLO  È TERMINATO. CI AUGURIAMO VI SIA PIACIUTO .