martedì 24 novembre 2015

LES INDIFFERENTS 10. - Le vendredi noir de Paris

Attendevate eh? Allora eccolo.


HO LASCIATO IL POSTO MACCHINA A UN TERRORISTA – Vendredi 13, un fin de semaine en noir

 Ciao Amore, ci vediamo stasera!

Anche questa mattina sono uscito come al solito salutando mia moglie, ancora indaffaratissima a imbellettarsi per il lavoro. Sono sceso e mi sono diretto verso la mia auto parcheggiata poco più in là del nostro portone, cosa non di tutti i giorni. Il traffico si stava intensificando quando ho liberato il piccolo spazio rioccupato subito dopo da una vettura scura che ci entrava a malapena con numerose manovre.
Bravo l’autista, devo aver pensato immettendomi in corsia verso il semaforo di rue de La Fayette. Ero in orario ma non ho guardato chi uscisse da quella vettura. L’abitudine di non farci caso.
Ho continuato il mio viaggio già con il pensiero alla serata: oggi è venerdì e di solito passa mia madre o mia suocera con qualche teglia o con la quiche solo da infornare. Poi abbiamo due biglietti per un teatrino di periferia: il solito Molière, sempre divertente. Una serata come tante in un novembre che ancora ci regala tepori e colori caldi come una cioccolata corretta al cointreau.
In ufficio soliti sguardi stanchi e mezzo-assonnati dei colleghi che si affacciano anche loro al fine settimana convinti di riprendersi poi in due giorni. Davanti al distributore di bevande si parla dell’amichevole allo Stade de France e il nazionalismo – si gioca contro la grande Germania! – prevalica sullo spirito sportivo.
Ci sediamo tutti poi alle nostre scrivanie chi già con il telefono in mano e chi con qualche pratica da chiudere o archiviare. Si guarda la posta poi le novità politiche del giorno. Solo verso le dieci, dieci e trenta, dopo l’ennesimo caffè si inizia a fare il punto di quanto rimane da fare nelle ore che restano.
Dopo pranzo, alla mensa parliamo sempre di famiglia, di tasse, di automobili, di donne… E al rientro si fa il programma per la settimana entrante.
    Alle quattro si dà una ripulita ai tavoli e si mette a posto quel che resta.
Un’ora e un quarto rispetto la mezz’ora della mattina per ritornare a casa. Stasera gran casino: devono essere state previste delle deviazioni sia causa la partita che causa dei concerti rock che dovrebbero portare grande pubblico.
Dicono che le autorità cittadine siano in allerta, ma a noi non lo vogliono nemmeno far vedere. E noi subiamo. Non si vedono poliziotti in giro, almeno non in divisa e le volanti saranno già tutte concentrate nei dintorni dello stadio.
Sotto casa nemmeno uno spazietto libero e devo fare tre giri dell’isolato per trovare posto. Stavolta sono al limite con un passo carraio e spero non passino i controllori. Lunedì mi serve la voiture!
Passo a prendere la baguette di ordinanza. Domani mattina potrebbe piovere e poi siccome rientreremo piuttosto tardi non avrò voglia di alzarmi. Fare colazione senza non è mia abitudine, soprattutto nei week end.
Pago e saluto qualche vicino di casa, tutti con la stessa mia fretta. Salgo in casa seguendo un insolito profumino: lasagne alla parmigiana, una ricetta trovata chissà dove o inventata da quelle della zia Lietta, bravissima cuoca… di casa.
Mia moglie è sotto la doccia e mi prega di abbassare la temperatura del forno. La pietanza cuoce da quasi un’ora ormai e lei ne ha approfittato per iniziare a prepararsi. Io fremo per andare al bagno e non vedo l’ora che lei esca. Mi trattengo quanto posso, lavandomi le mani nel lavello della cucina. La tavola è già preparata, anche se mancano i formaggi e il vino. Stappo una bottiglia mentre ascolto il telegiornale: si parla di Islam, ma anche di ripresa, di America, della partita, del gran premio, di… solite cose, ormai.
Sento la porta della camera cigolare e mi fiondo alla toilette. C’è l’odore del sapone addensato nel vapore che ancora ristagna. Respiro quella scia che mi riporta indietro di anni. Mia moglie ci tiene, da bella e brava parigina al bon-sentir della propria persona. Mi fa girare la testa con profumi a volte orientali, a volte muschiati e a volte floreali. Immerso nei miei pensieri non la sento chiamarmi a tavola. Mi è passata davanti alla porta, semi nuda e non me ne sono accorto. Sarà la fame?
Ci sediamo e scorgo altri sapori, altri colori. Il piatto è pieno e il gusto….da gourmet! I bocconi si susseguono a ritmo sfrenato, ma non solo perché devo anche io andare in doccia e radermi. Assaporo materia e respiro, pensiero e gusto. Delicieux!
Parliamo durante la pubblicità della nostra giornata e di quello che faremo domenica. Decidiamo di portare le nostre mamme a Versallies e poi a Fointainebleu. Se splende il sole sarà bellissimo fare una passeggiata magari immaginando di essere alla corte di Marie Antoinette.
Dobbiamo sbrigarci, ma quando entriamo alla stazione del Metrò siamo stretti a braccetto come due sposini. Ci guardiamo inaspettatamente negli occhi e lei rimane aggrappata stretta a me nonostante non ci sia tanta gente nei vagoni. La macchina è rimasta parcheggiata a due isolati da casa. Troppo casino stasera. Poi la metro ci porta fin sotto il teatro. Comodo!
Nel Foyer mentre lei cerca i biglietti dentro la sua pochette io deposito i nostri cappotti al guarderobe, mettendo subito il cartellino per il ritiro nel portafogli.
Entriamo e andiamo a cercare i nostri posti. Stasera pienone da tutto esaurito. La gente esce ancora volentieri per Molière, ma non solo. Abbiamo visto tutti i bistrò pieni qui attorno. Si mangia e si beve in compagnia. Alla faccia della crisi e del nostro governo.
Lo spettacolo inizia. Anche il battimani è corposo e gli attori se li meritano tutti questi applausi.
Poco prima dell’intervallo si sente un brusio che diventa sempre più forte. Forse la nazionale, che a quest’ora dovrebbe aver finito di giocare, ha perso contro la Germania? Crucchi bastardi!
Il vocio si fa più intenso e dappertutto si notano le luci dei telefonini. Qualcuno squilla nervoso. Ma non dovrebbe essere proibito? Cosa fanno le maschere? Tento di capire cosa sta succedendo.
All’improvviso il capo della troupe o il direttore del teatro esce sul proscenio. Si parla di attentati, di morti, di sparatorie. Le autorità hanno subito decretato lo stato di emergenza e presto tutto sarà bloccato. Lo spettacolo viene sospeso e i biglietti eventualmente rimborsati se non si potrà assistere a una replica speciale in data da destinarsi.
Si scatenano tutti sulla rete: confusione e caos in tutta la città. La polizia ha blindato dei quartieri e quindi sarà difficile tornare a casa. Invitano alla calma, ma è meglio incamminarsi. Nessuno ancora sa nulla di preciso di cosa stia accadendo. Ci guardiamo mesti e usciamo quasi in fila indiana a capo chino, avviandoci tutti verso il proprio rifugio.
Mia moglie si aggrappa a me come prima, ma io non so se le basterò. Ci guardiamo negli occhi, come prima, ma l’intensità è offuscata. Non so se sia paura, timore, panico o solamente disillusione che la liberté stia crollando come una statua di sale.
La Metro ci porta solo due stazioni più in là. Taxi non ce ne sono e quelli che circolano sfrecciano veloci non si sa dove. Hanno forse meno difese di noi. Ci incamminiamo quasi alla cieca. Non conosco il quartiere, ma fortunatamente so orientarmi nonostante l’ora tarda.
Il traffico ha una intensità inusuale, il che mi fa pensare che stasera sia veramente accaduto qualcosa di brutto. Abbiamo i nostri cellulari, ma non ho nessuna voglia di riaccendere il mio. Mia moglie prova a contattare le nostre mamme. Sono tutte e due a casa nostra e ci attendono ansiose. Alla TV hanno parlato di un teatro preso d’assalto e pensavano fosse il nostro. Mia moglie le rassicura: stiamo bene, siamo vivi, ma siamo a piedi e non sappiamo quando rientreremo. Possono attenderci lì e farsi compagnia.
Sul viale della Republique sfrecciano veicoli a sirene spiegate. Non li vedo. Pompieri? Ambulanze? Polizia? Allora veramente è grave! Camminiamo rasente i muri mentre la gente accanto a noi entra furtiva nei propri portoni con sguardi bassi e indagatori.
Affrettiamo il passo ma dopo pochi isolati ci viene il fiatone. Stiamo scappando, sì, ma da chi? Dove sono? Chi sono? Non siamo sicuri di essere al sicuro, ancora abbastanza lontani da casa. Stasera niente aiuto da amici e conoscenti. Meglio non disturbare. Poi a casa ci aspettano le mamme.
Ci guardiamo. Mi sono perso. Cerco di chiedere indicazioni a qualcuno, ma sono tutti di fretta come indaffarati per l’arrivo del roi. Ognuno con il suo fardello di pensieri vaga per la strada in cerca di riparo. Fortunati quelli che hanno deciso di non uscire. L’aria è pesante.
Continuiamo il nostro percorso a ritroso. La prossima stazione della Metro è già chiusa. Motivi di sicurezza ci dicono. Mia moglie ha le vesciche ai piedi, ma non si fida a levarsi le scarpe. Troppo pericoloso. I locali sono vuoti o già chiusi. Che succede? Allarme atomico?
Con dei fazzolettini tra scarpa e piede, tra pellame e pelle, si prosegue a ritmo lento. Se dovessimo correre all’improvviso? Se ci fermiamo però ad aspettare un taxi arriviamo domani mattina e chiedere un passaggio non è proprio il caso.
Nei paraggi abita un mio ex-collega con la moglie, ma è tardi. No, guarda, sta uscendo proprio ora con un sacchetto dell’immondizia! “Serge, Serge! Scusa, ciao. Come state! …” Tento di farmi sentire, di farmi notare, ma lui prosegue. Non so dove stia andando e dato che mi pare che non abbia voglia di parlarmi, tiriamo dritto anche noi. Una pausa, mi dice mia moglie, non le sarebbe stata bene. Al massimo avrebbe potuto chiedere alla moglie di Serge un paio di Nike, sempre che quella abbia il suo stesso numero. Meglio così allora.
Ancora un paio di isolati e ci siamo. Di nuovo a casa. Stiamo arrivando dall’altra parte rispetto a dove ho parcheggiato. Non importa. La controllo domani. Qui sembra essere tutto come al solito, tutto normale.
Alla nostra vista le nostre mamme ci abbracciano e ci baciano come quando siamo rientrati dal viaggio di nozze. Era dieci anni fa e mai da allora avevo temuto di non poter proteggere adeguatamente mia moglie.
Lei mi guarda come se fossi un eroe. Certo: averla riportata a casa sana e salva è stata un’avventura, anche se ci è rientrata con i piedi sanguinanti. Io comunque l’ho scampata dal doverla portare in braccio. Mi ha detto che non era più una bambina e nemmeno una sposa alla prima notte di nozze. Avrebbe fatto anche lei la sua parte in caso di guai.
Andiamo tutti a letto con poche notizie: pare che alcuni estremisti islamici si siano fatti saltare alle porte dello stadio e che qualcuno sia entrato in un teatro dove suonava una band americana e abbia sparato all’impazzata. Ma dico io: è così che si reagisce per non aver trovato il biglietto?
Alle prime luci dell’alba accarezzo la guancia di mia moglie che ancora dorme al mio fianco e mi sfilo da sotto le coperte. Preparo il caffè e vedo le chiavi della mia voiture. Scendo un attimo a controllare e così vedo se trovo un posto più vicino. Appena fuori dal portone vedo camionette e poliziotti tutt’intorno al luogo dove ieri, press’a poco alla stessa ora sono salito sulla mia piccola e vecchia Peugeot. Cerco di avvicinarmi e un gendarme me lo impedisce. Riconosco un mio vecchio compagno di studi, uno che già allora faceva il duro con gli stranieri. Mi risponde di farmi gli affari miei.
Riconosco il mezzo sul quale stanno armeggiando: si tratta proprio della macchina scura che aveva preso il mio posto! Un altro gendarme alza un fucile, trovato nel bagagliaio della stessa. Cantano vittoria. Perché?
Giro l’angolo in tutta fretta. Mi fermo e quasi vomito. Ho lasciato il posto macchina a un terrorista o solo a un pazzo omicida. Forse se non trovava parcheggio se ne andava o desisteva dal suo compito.
Forse. Il suo di cammino è stata un’avventura che gli deve essere costata la vita, quella stessa che lui ha tolto a tante altre persone innocenti.
Io non so se sono innocente o solo sfortunato.
Torno a casa, da mia moglie che mi attende con la baguette da tagliare e la tazza di caffè fumante. Va verso la TV. La fermo. No cara, meglio non sapere.

sabato 3 ottobre 2015

LES INDIFFERENTS 9.

Il chiarore della notte

Nel chiarore della notte la piazza si popola di mille colori e suoni e odori.
Lento passa il tempo della gioventù senza futuro.
Dietro l'angolo domani troveremo solo cocci di vite infrante
in una notte senza senso
bruciate nel tentativo di costruire una zattera
per attraversare questo mare di pantano
e raggiungere la riva della felicità e del benessere
che come chimera si inabissa nelle ceneri della fenice
per scomparire tra flutti e venti
illusione per i più, premio per pochi
storia per coloro che non sono nemmeno partiti
Ci guardiamo tutti indietro quando le cose non vanno
infami nella sofferenza che calpestiamo ogni giorno
Il ponte che ci porta dall'altra parte ancora non è stato progettato
e i piedi non sanno dove poggiare.
Il chiarore della notte è solo frutto di tecnologia e progresso
Le stelle invece da sempre ci guardano e non arrossiscono
Noi continuiamo a camminare
nella piazza del sabato sera
e del domani cerchiamo l'alba dietro l'angolo
Vile è solo l'attimo distratto
dall'ansia della vita.

lunedì 14 settembre 2015

LES INDIFFERENTS 8.


Passa uomo, passa.



E’ la nuova diaspora: fiumi di persone spinti da fame, disperazione, guerra, carestia, sottosviluppo, ma anche voglia di vivere una vita onesta e dignitosa. Percorrono chilometri con ogni mezzo accompagnati solo dal loro sogno di benessere. Avranno in mente una meta? Da dove avranno raccolto immagini o racconti di vita, della nostra, nei cosiddetti paesi civilizzati e industriosi – chiamarli industrializzati mi sembra ancora tanto un eufemismo -.

Si gettano, con poche cose, spesso con le sole che riescono a indossare, tra le braccia del destino. Sanno fare tutto e niente e non sanno cosa sia veramente la vita qui in occidente. Hanno nel cuore una capanna, la savana e tanti animali che nemmeno sappiamo noi come si chiamano liberi in un panorama che noi chiamiamo sogno. Hanno nelle orecchie ancora la voce del dittatore che richiama all’ordine, all’obbedienza e minaccia chi protesta od osa opporsi.

Loro non sanno che qui la democrazia non è in mano al popolo; non sanno cosa sia votare con libera coscienza; non sanno né di liste né di primarie, né tantomeno di leadership di partito. Loro pensano ancora che a governare ci siano dei grandi uomini saggi che come capi tribù decidono le sorti, i matrimoni, i confini.

Certo i confini: qui sono aperti, se non c’è il filo spinato o l’esercito con i suoi potenti mezzi a sorvegliare ,ma che spara a vista se non stai in fila. Altri però, invisibili se non al radar, sono pattugliati da gente come loro, povera ma gentile, che da una mano a traghettare su un mezzo meno instabile di un gommone. Gommoni: sovraccarichi di merce umana si stracciano o si rovesciano al minimo movimento e se il mare è mosso non avanzano. La scialuppa di Schettino o un relitto del Titanic pare loro comunque una nave da crociera.

Eppure appena sbarcano baciano la nostra terra come fosse la Mecca, la meta promessa di un Dio che non si chiama né Cristo né Allah, né Maometto, ma è presente anche solo per benedire il viaggio. Loro non sanno che noi a Dio non ci crediamo più, ma continuiamo ad accendere candele votive o ad andare a messa la domenica.

Vestiti di stracci, bagnati fradici, affamati e al limite della disidratazione continuano strenui perché la strada continua, perché ce ne sono tanti altri che camminano dietro, che la loro terra ormai è deserta ma non per colpa del clima. Avanzano, in fila indiana, aiutandosi come possono. Non chiedono elemosina, ma come in quadri antichissimi o nei racconti biblici seguono il loro capitano. Nessuno in verità guida la ciurma e lo sbando è palese. Sembra che nessuno riesca a fermarli e che nessun luogo sia abbastanza ospitale o accogliente. Lo sguardo perso, i ricordi appena lasciati in mano ad aguzzini, tirano a campare per salvare capre e cavoli. Nessuno li trattiene del resto perché qui spesso non ce n’è nemmeno per noi. Apriamo le nostre porte per moda o perbenismo, per “così fan tutti che è giusto”… ma se è giusto accogliere, sarebbe stato meglio reagire prima, quando ancora la loro patria si poteva salvare, quando i nostri interessi potevano essere meglio regolati o quando, sia pur in regime autoritario, le cose erano mantenute entro i limiti.

Anche noi vorremmo ribellarci, prendere le armi o solo i forconi… ma non troviamo i forconi e le armi le abbiamo vendute, tutte. Non sappiamo alzarci e dire no, per loro, per noi, per tutta la DEMOCRAZIA che ci hanno insegnato, bella dopo il re, disillusi ora del grande sogno. Ne paghiamo schiavi lo scotto, ma loro questo non lo sanno: vedono case belle (abusive), macchine lucide e potenti (rubate o in leasing) bei vestiti e tutte le diavolerie tecnologiche impensabili (e quanto costa farle funzionare). Loro però sorridono ai nostri bambini con i loro sono sempre in braccio o per mano ai genitori.

Guardiamoli passare allora come figure di un tempo che per noi è perduto e prendiamo esempio dalla loro umanità, umiltà, volontà. Passa, uomo, passa.

giovedì 6 agosto 2015

LES INDIFFERENTS 7.


MERITATO ESEMPIO

 Onor del merito non è più che una frase fatta, una che non si sente nemmeno. Ha però a che fare con l’onore, il valore, l’agire non per sé ma altruisticamente sovrappensiero guidati solo dall’emergenza o dal coraggio di trovare una soluzione. Eppure chi  guarda e applaude non vede le motivazioni e il risultato è dichiarato talvolta pari all’aver pulito una stanza o un vetro appannato dal tempo.
Onor del merito non è genialità:  si è forse solo trovato prima di altri il bandolo della matassa e riavvolto il filo sul fuso in maniera ordinata. Ora chi vuole può continuare a tessere le sue trame e disfare l’ordito damascato di pura seta, capolavoro che potrebbe venire impreziosito da un fine bordo macramè. Non c'è bisogno di cornici per presentare l'impresa, ma tutti reclamano una copertina.
Onor del merito non è la giustificazione per qualche medaglia: è solo stato svolto il compito con serietà e abnegazione. Nessuno ha visto barare o copiare o farsi suggerire. Nessuno trova la pagliuzza nel covone, ma non perché è stato pazientemente e sapien-temente passato  al setaccio, ma perché si tratta di un lavoro pulito e non ci si è macchiati la fedina penale. Non sono necessarie le lodi  quando si sanno fare le cose.
Onor del merito è un’eccezione, spesso perché nessuno la vuol notare. L’altruismo nega l’approvazione perché spontaneo e non meditato. Il riscontro non è nemmeno il benvolere di beneficiari o superiori. Il lieto fine o il buon esito possono anche non essere scontati ma ricercarli forse non avrebbe diretto meglio l'azione. Gli ostacoli erano pochi o piccoli o il circuito non era intricato di curve o pieno di bivi. Veramente gli unici in grado di superare tutte le prove?
Onor del merito non  porterà spesso nessuno più in alto: si deve  sudare per conservare la posizione. La via è aperta, dimostrato come si fa e che si può fare. Anche se in tanti seguiranno l'esempio non è sicuro che il merito se lo prenda la persona giusta.


I fatti non sono riferibili  solo a luglio di quest'anno.

domenica 12 luglio 2015

LES INDIFFERENTS 6.

CRISTO!
Quella figura dolente attaccata alla falce contrapposta al martello è simbolo non di una certa opinione politica, ma della sofferenza umana. E' giusto che sia donato a chi di questo sta facendo il fulcro del suo operato e non deve suscitare scalpore, né indignazione o altro.
Quelle mani, sante, lo hanno accarezzato come per intendere che dobbiamo prendercene cura tutti e non solo le autorità.
L'uomo comune ormai non guarda nemmeno i crocifissi artistici.
 
Quel piatto imbandito con dolci leccornie o prelibatezze, fotografato sotto la giusta luce, fa bella mostra di sé nella pagina pubblicitaria di EXPO. Non è giusto mostrarla per attirare visitatori. Questo evento è stato creato per far convergere i popoli e le autorità verso principi più egualitari oltre che a far vedere alle prossime generazioni tutti gli errori come anche le varie differenze con il passato in agricoltura ed economia agroalimentare.
L'uomo comune guarda con ribrezzo la foto del bimbo africano che, scampato alla guerra, chiede con gli occhi un tozzo di pane.
 
Le statistiche dicono con i loro numeri che iniziamo a uscire dalla crisi. Non spiegano di certo quali siano i parametri o quali le formule per arrivare a tanto.
La matematica non è un'opinione e 1+1 può fare solo due. Non è vero: la disoccupazione in calo è dovuta forse solo ai contratti estivi o per affrontare periodi di maggiore intensità di consegne. L'aumento della produzione è forse un riempire di nuovo i magazzini riducendo i costi fissi...
L'uomo comune legge solo il segno davanti alla cifra e crede a quello che i giornalisti dicono.
 
La natura si scatena con violenza inaudita. E' vero, purtroppo. Lo avevano detto in molti e da molto tempo che quel che è successo in settimana alle porte di casa mia sarebbe stata una possibilità aumentata nella probabilità dalla conformazione geografica...
Nel 1600 la Serenissima ha costruito un sistema di canali unico al mondo per aumentare i commerci, ma anche per ovviare al pericolo di inondazioni.
L'uomo comune sa che l'aria non si contiene facilmente se non in locali chiusi che alla fine non lasciano respirare.

mercoledì 10 giugno 2015

LES INDIFFERENTS 5.

A volte passa lo straniero.
Passa e non si volta più nemmeno lui a guardare cosa lascia dietro di sé: carta straccia o un permesso ufficiale, dignità o paura.
Avanza sicuro lui di trovare comunque un pane e un panno, o solo una capanna. Qui, dice, è la terra dell'oro, dove tutti possono vivere senza dover chiedere o stare attenti o combattere.
Ha gli occhi gonfi e lo sguardo fisso, ma forse anche già bene in mente come deve comportarsi.
Noi siamo qui che li attendiamo e tentiamo di carpire come si debbano sentire; offriamo loro un abbraccio e un tetto.
Lui avanza, noi non arretriamo: facciamo solo loro posto. Quanto ne abbiamo noi da poter dare? Se lo meriterebbero loro in patria o il nostro è veramente migliore?
Spesso arrivano da luoghi che sono stati nostri un tempo o che abbiamo amato per un motivo: ora gli stessi sono irriconoscibili o irraggiungibili.
Qualcuno minaccia, ci incute paura con l'immagine di quelle stesse rovine... per rappresaglia.
E noi ancora a dare asilo, a dividere pani e pesci che non sappiamo più moltiplicare, a stringerci a sardine in scatola per non essere messi tutti sott'olio.
Noi difendiamo la storia e la dignità di tutti.

Passa lo straniero con le sue macchine blu e bandierine svettanti su magnifici edifici con facciate di vetro. In sontuosi saloni i Grandi si siedono a un tavolo e discutono, parlano di quello straniero che ci minaccia, di quei poveretti costretti alla fame... ma anche di spazio che non è più condivisibile, non perché non ce ne sia, ma perché non è sostenibile.
Non è umano infatti che in tanti debbano condividere risorse e spazi, quando qui ognuno ha una reggia... E che ospitino pure loro, a casa propria dei migranti! O che vadano loro in quei paesi a vedere come si vive!
Dalle vetrate altri grattacieli, pieni di uffici e cattedrali che si svuotano, di strade trafficate e belle luci.
Nel deserto invece solo qua e là qualche oasi senza elettricità, smartphone, TV al plasma, internet, ma nemmeno con acqua potabile o un tetto solido, una scuola, un ospedale, un orto, un pozo.
Nel deserto ancora la guida più sicura sono le stelle.

sabato 30 maggio 2015

COO...KY?

Ho letto che da giugno bisogna avvertire i gentili lettori della presenza di COOKIE nel sito o blog che potrebbero fornire indirizzi o dati.
Credo che nel mio caso questi siano inseriti nel programma del provider ovvero chi fornisce gli schemi per il blog.
Comunque sia sappiate che mai mi permetterei di utilizzare alcunché se non per rispondere in privato a questioni che avete posto e che esigono una risposta privata.
Grazie comunque per l'attenzione.

Per me un cookie potrebbe essere anche un sistema cucina o un tutorial per chef... non me ne intendo quindi chiedo venia.... o magari mi viene anche qualche ispirazione!

giovedì 7 maggio 2015

LES INDIFFERENTS 4.-

TRITON

Il mare non è che una distesa d‘ acqua e se la vuoi attraversare devi trovarti un mezzo. Te lo offrono forse in tanti ma costa e non solo denaro: favori, calore, fatica, speranza, sofferenza, dolore e… morte.
Scappare non è mai bello, ma se la necessità si chiama fame e guerra allora la fuga si nobilita. Chi ti accoglie però ti vive come un estraneo anche se vieni solo a chiedere un pane, uno straccio, un letto e dell’acqua.
Si acqua, per lavarti e per bere, per cuocere il riso o una minestra, insomma il minimo necessario per vivere che poi diventa un sopravvivere, a tanto, a tutti.
E non rivedi che il mare nei tuoi sogni ormai diventati delirio notturno, incubi maledetti che ti rubano il riposo. Ma riposo da chi e da che cosa che se non hai nulla da fare poi ti annoi e cerchi lavoro, dignità, quella che magari hai dovuto lasciare partendo e che nessuno se non tu stesso si può riprendere, ricostruire.
Ma ricostruire non è la casa di cartone che viene giù con la pioggia o la tettoia di lamiera che scotta già all’alba. Ricostruire è ricominciare in una terra che non è la tua e che a stento sfama i suoi figli; è un luogo bello ma che ti degna appena di uno sguardo; sono leggi che non conosci e che tanto nessuno rispetta e allora ti metti in coda alla mensa dei poveri, senza nemmeno un documento.
E sogni l’acqua, quella che ti separa dalla tua di terra e dai tanti lutti che hai visto o sentito raccontare, da chi è rimasto e non sai dove si trovi…
L’acqua è anche quella che ti offrono appena sbarcato, mezzo litro scarso a persona che già ce ne sono altri che aspettano.
Vai per la tua strada con sandali bucati ai piedi ma non vuoi chiedere l’elemosina. Sguardo basso, braccia ciondolanti che vorrebbero tenere una pala, un piccone, o un Kalashnikov per abbattere quel muro che non si vede ma è presente e che starebbe a difendere loro e non te. Vorresti, ma stringi i denti che qui "ni è 'cosa".
Tu il mare l’hai attraversato con le lacrime agli occhi e ti sei lasciato più di qualcosa alle spalle. Vorresti tornare dove loro ti ci mandano, ma accetti qualsiasi ospitalità, senza dare fastidio, perché ti senti al sicuro.
Qui non c’è la guerra, quella dalla quale non hai riparo, quella terminata per loro 70 anni fa che era una bella vittoria popolare festeggiata e lodata ogni anno per un giorno intero. Loro hanno paura però che tra di voi non ci siano solo poveri affamati, ma anche qualche diavolo che, ben pagato per il proprio sacrificio, viene a portare una cultura che tu non condividi per piena convinzione, ma solo per tradizione.
Loro hanno paura perché il nemico non sempre porta una divisa e quindi non sanno come riconoscerlo. Non sanno nemmeno sparare mentre tu sai come si pulisce la canna di un Kalashnikov. Lo hai dovuto comunque imparare, per il potere, per tuo fratello... Loro sparano con le loro bocche e i colpi vanno tutti a buon fine, senza feriti. Il Kalashnikov invece a volte si inceppa e spesso chi ci va di mezzo è proprio chi lo imbraccia.
E la guerra è lì, sempre più vicina, al di là di quell’acqua che separa tutti da orrore e terrore. Loro non lo sanno più cosa significhi e la guardano con quel sorrisetto da vincitori. Lei è lì e un giorno forse attraverserà quell’acqua e allora non ci sarà più scampo. Per nessuna preghiera.
A passo mesto rientri nel rifugio, al centro di riconoscimento, come se si dovesse attendere di avere un nome e un cognome ufficiale per proseguire. Ti stendi su una brandina di fortuna insieme a tanti altri e ti chiedi cosa succeda al di là del mare, magari su un’altra costa, un’altra riva, un’altra frontiera.
Il mare non è un muro e un giorno si presenterà anche a loro, come una gigantesca onda, dalla quale non sapranno ripararsi. Poi continueranno a piangere i loro morti senza degnarti di uno sguardo, senza nemmeno alzare di nuovo il loro muro che non ha saputo difenderli.

Tu hai fatto la tua scelta, loro vivono alla giornata. Tu hai ancora una meta, loro solo il proprio tragitto.
Il mare è lì, che aspetta chi vuole attraversare. Immenso e calmo o agitato dalla tempesta, fatto d’ acqua che solo i pesci sanno bere.

martedì 21 aprile 2015

LA STANZA


Dietro quella porta c’è qualcosa ma il sapere cosa sia mi spaventa a tal punto da non lasciarmi dormire. Forse una punizione, forse un disagio, forse anche solo un colpo di vento percepito da dentro il grembo materno, ma lì per me c’è qualcosa che non va ovvero che va lasciato lì e basta. Anche passare accanto quella porta mi infastidisce, tanto che prendo la rincorsa per varcare quella accanto in uno stupido gioco infantile dove io sono il mio unico rivale. Dietro quel vetro posto a separare la verità dal sogno, la realtà dall’illusione vedo ombre e sento voci. Catalogarle non le so e nemmeno associarle a un viso. Eppure sono lì per me sempre in agguato, sempre pronte a venirmi a trovare, nei sogni, nel buio.Passo le notti a guardarmi da loro: le sento avvicinarsi e mordo le lenzuola. Poi mi alzo e le scaccio con qualcos’altro: pensieri, letture, musica. Questo sembra spaventare quelle presenze ignote che non so capire. Poi cosa ci sarebbe da capire: che sono ignote e fintanto che non si disvelano non le conoscerò e quindi nemmeno sarò in grado di affrontarle. Arma unica di difesa il non attacco dunque? L’attesa inerme del loro passaggio? Eppure ne ho timore. Ma non mi fregheranno. No loro non avranno la meglio su di me. Io mi conosco e sento quando arrivano, quando è l’ora. Sono pronto: che entrino. Forse dovrei essere io invece ad entrare in quella stanza e farla finita una volta per tutte. Cosa dovrei poi trovarci se non un tavolo, una sedia, una finestra, una libreria e un armadio? Dei quadri di nudo? Delle sculture metafisiche? Dei CD new age e tutto l’occorrente sado-maso? Dov’è il letto o il divano, il tappeto orientale e il poster di Kandinski; dove sono i classici e le collezioni di Harmony, i gialli della Christie accanto ai DVD di Aldo Giovanni e Giacomo; dove hanno nascosto la play station? E le costruzioni LEGO gelosamente conservate oltre la mia adolescenza?

Questa è la mia ansia: non avere più alternative. In effetti una ce ne sarebbe: farmi prendere dai ricordi o accettare la mia condizione.

 
  Ciclo Emozioni: LA PAURA

Racconto ispirato da AMERICO e i suoi incubi notturni, talvolta ancora presenti.
 
Mi hanno detto che questa è una SCRITTURA TEATRALE ovvero le parole portano il lettore sulla scena. Voi che ne pensate? (S.L.)

 

giovedì 9 aprile 2015

LES INDIFFERENTS 3.

Camminare per la strada e pensare ai fatti propri sembra la strategia migliore per essere felici in quest'epoca distrutta da crisi e guerre di potere.
Persino nell'alto Nord-Europa non si curano di grida e richieste d'aiuto, anche se inscenate.
Camminiamo così alla ricerca di noi stessi, di quel calore umano e quella solidarietà che ancora solo i nostri genitori hanno vissuto, nelle tragedie e nelle ristrettezze con sogni negli occhi e nella mente, con forse più libertà e ideali dei nostri figli.
Noi piangiamo il passato avendo percepito il cambiamento. Siamo tristi e non capiamo. Siamo arrabbiati con noi stessi e con il mondo per averlo permesso e costruito. Camminiamo in mezzo a tutta questa sporcizia che invade anche il nostro privato.
A testa china sopportiamo gli abusi delegando forse proprio i nostri aguzzini.
Non il riso ma nemmeno il sorriso spunta sulle labbra degli stolti a cui nessuno più rivolge la parola.
Camminiamo soli per la vita in cerca dell'anima gemella, ma chiediamo che sia essa a consolarci in questa valle di lacrime.
Continuiamo a camminare insensibili ai nostri calli o alle scarpe strette.... e senza sogni nella mente.

mercoledì 1 aprile 2015

DA PARTE VOSTRA

Grazie, mi fa piacere che anche se solo per curiosità voi diate un'occhiata al mio sito. Esplosione di visite ieri che mi incoraggiano per il futuro, ma mi fanno anche pensare del vostro giudizio.
Quello che scrivo io è diverso dallo stile che adotto per il quattro mani con Danilo Simoni, anche se con lui l'affinità è molto elettiva.
Quello di cui scrivo deriva dal mio vissuto e viene trasposto spesso in toni pastello, pacati come il mio carattere che diventa aggressivo solo se mi pestano pesantemente e ripetutamente i piedi.
Quello che amo della scrittura è il suo potere evocante e un po' consolatorio per quello che è stato o avrebbe potuto essere.
Scrivo perché mi piace, non per colmare un vuoto; scrivo perché ho sempre trovato immenso piacere nell'ascoltare le storie o a leggerle. Scrivo per condividere questo piacere e mi piace che qualcuno in cuor suo lo apprezzi.
Grazie

domenica 8 marzo 2015

LES INDIFFERENTS 2 - 8 marzo e non cambia nulla


DONNE DEL DESERTO – Figlie di Greta e Sofia

 

Per strada le donne stendono panni e chiacchierano tra di loro. Hanno il volto finemente velato dal trucco per nascondere il loro vero io.

Dai loro occhi leggi che hanno pensieri, angosce, problemi, ma drizzano la schiena e se ne vanno per la loro strada, perché così è la vita e qualcuno deve preparare la cena.

Sono orgogliose e fiere, o tristi ma leggere. Ti stupiscono regalandoti un sorriso o una carezza inaspettata.

Grande è il loro cuore e il loro nome è Maria.

 

Nei vicoli le donne girano sospettose, armate solo della loro pazienza o della loro innocenza. Vorrebbero andare a letto accanto a mariti o compagni che le abbraccino per la giornata cupa al lavoro o per la brutta notizia.

Se ne vanno attente a dove mettono i piedi, a chi le segue, e anche in macchina hanno occhi per tutto e per tutti.

Il loro secondo nome è Maria.

 

Nel deserto le donne vanno… in cerca di acqua e di cibo, a testa alta solo per mantenere il peso ben in equilibrio, con figli in grembo e al seguito.

Sono velate e i loro occhi scrutano il terreno per non inciampare nelle loro stesse vesti, uniformi imposte, uguali, livellanti.

Non le senti nemmeno respirare, ma il loro grido di dolore lo portano nell’anima.
Il loro nome non lo dicono, ma assomiglia a Maria.

 

"Non girarti, non parlare, non toccare…"

Peccato e sacrilegio sono all’ordine del giorno ma per difenderci non possiamo che immolarci alla causa.

Da tigri siamo diventate passerotte alle quali sono state tagliate le ali; il verme che abbiamo trovato ce l’ha porto quella stupida gallina.

Non è servito scappare: dietro ci si è portate proprio quell’idea da combattere.
Non è servito nemmeno annientarsi per fuggire l’ira del padrone.

Non ci sono più le donne delle 1000 e una notte, quelle del Khamasutra, o del kajal nero attorno a occhi profondi. Quelle passano e non si voltano. Non degnano più nemmeno di uno sputo.

Donne famose in fila per la spesa o anonime in coda allo sportello. Sulle copertine, dietro l'angolo o in carriera: donne, Maria è stata solo la prima.

sabato 28 febbraio 2015

L'Ultimo Caso di Giallo Club

E' uscito in antologia multiautore autopubblicata su LULU un mio racconto "giallo" dal titolo: L'ULTIMO CASO selezionato per il concorso indetto da Giallo Club per Racconti noir. In tutto siamo in 18 autori con 23 racconti
Anche questo lo considero un successo e un esempio di come si possa concentrare ironia e suspence in poche righe.
Conosco già alcuni compresenti e questo mi fa piacere e onore.
Per chi vuole: http://www.lulu.com/shop/aavv/ombre-gialle-brividi-neri/paperback/product-22065016.html
Grazie a nome di tutti.

Il racconto verrà da me pubblicato qui di seguito tra un po', quel tanto che basta a far conoscere l'antologia e non disperdere l'alone pubblicitario costituito dall'uscita del volume. Abbiate pazienza, ma compratelo lo stesso.

domenica 8 febbraio 2015

LES INDIFFERENTS 1.

PECORA DELL'OVEST - Je ne suis pas Charlie


Da quanto io sia qui non lo so. Mi sono rifugiato in extremis poco prima che fuori scoppiasse l’inferno e ho trovato forse la mia salvezza. Per lo meno la mia sopravvivenza. Per quanto ancora non lo so.

So che qui c’è cibo, riserva d’acqua, c’è pure un trasmettitore, di quelli antesignani, ma funzionante. Non so chi mi riceva, chi sia in ascolto di ciò che dico. Ma interessa ancora ciò che dico? Non lo so.

So che fuori la battaglia è cessata perché non sento più rumori. Sono isolato, sordo o hanno proprio smesso di combattere? Chi ha vinto? Chi perso? In teoria vorrei saperlo, ma qui sto bene e non me ne frega niente.

Sono rifugiato senza futuro, e senza presente. Sono chiuso in questa gabbia senza sbarre senza cielo né aria. Sono qui a parlare con l’etere o l’infinito in attesa di segnale.

Sono vivo, respiro; penso, ma non ho idee, mi sembra di delirare per qualche febbre che non conosco. Non ho malinconie ma solo ricordi, non ho pensieri né ansie.

Eppure là fuori c’era la mia vita: la mia casa, il mio lavoro, la mia famiglia. Qui non ho nemmeno un carceriere contro cui inveire e Dio non so se esiste da anni.

Sono qui e non me ne frega niente, non voglio e non posso uscire. Non è istinto di sopravvivenza? Il futuro? Sempre uguale a ieri, all’oggi, sempre senza privacy né dignità, né accessori o tecnologia. Senza un posto dove pisciare o farsi un bagno ristoratore. Non conosco il tempo né l’ora, se piove o è sereno. Le stagioni seguiranno pure il loro percorso e i fiori o i frutti marciranno anche senza il mio consenso.

Sto impazzendo.

Solo, senza mode né gossip, notizie reali o fantasie erotiche di qualche giornaletto. Sono qui e non cerco compagnia. Non pietà né riconoscenza, non una moto né uno yacht o un jet privato.

Vorrei la tranquillità se la felicità non si compra né si raggiunge. Vorrei un pezzo di pane da condividere o da scambiare per un’ora d’aria.

Là fuori c’è il nemico. Hanno cancellato tutto, tutta la cultura e il sapere accumulato in secoli: musica, pittura, libri, statue, immagini, leggi, persino certi modi di dire. Hanno cancellato la bellezza e l’effimero, il piacere e il godimento, la differenza e la semplicità. A quale fine?

Loro distinguono, loro comandano e tu devi stare al gioco che non ci mettono né se né ma per giustiziarti sul posto.

Ci hanno provato in molti, da soli o in gruppo, ong o eserciti di stato. Nulla è servito: loro erano più forti perché lupi, lupi solitari pronti a immolarsi, cosa che noi abbiamo dimenticato o mai imparato, perché i nostri ideali li sappiamo mettere sul tavolo ma anche distruggere, a parole e a fatti.

Io ero uno di quelli, pronti a scattare per ogni buona causa, ma ora non so più nemmeno a quale padrone appartengo. Forse nemmeno a me stesso.

Sono qui e mi sento inutile: chi poi là fuori sarebbe ancora intenzionato a ricostruire, a ricominciare? Nessuno, ma non abbiamo perso: ci siamo semplicemente lasciati sopraffare, per inerzia, per aver sottovalutato il problema, per aver inchiodato le vittime e non licenziato i carnefici. Abbiamo perso anche la speranza e abbiamo visto il nemico ovunque, pure in noi stessi.

Siamo diventati noi gli scorpioni e mordendoci ci siamo dati la morte prima della fine, per non vedere, per non combattere perché le barricate sono cosa d’altri tempi. Eravamo proprio giunti al capolinea o avevamo solo preso una strada a fondo chiuso? Chiuso poi da cosa: un muro o dei semplici pali di legno posti di traverso? Avevamo proprio bisogno di soddisfare quelle voglie, strappare la terra per cementificarla solo per non scivolare?

Perché abbiamo abbandonato i sensi in favore dell’intelligenza e così facendo lasciarla aggredire se stessa in una lotta di supremazia e intolleranza?

Perché abbiamo smesso di guardarci allo specchio per ottenere risultati? Le risposte non sempre vengono registrate in database comuni: restano lì, abbozzate, insignificanti per i più.

Gli affetti si spengono nella distanza, la gola non arde sotto la pioggia, la pigrizia non si alza dal letto… e domani non è un altro giorno.

Sono qui e aspetto: che arrivino o meno, io continuo a consumare le scorte che qualcuno ha minuziosamente catalogato. Non c’è lista della spesa. Solo un conto da pagare.