sabato 28 febbraio 2015

L'Ultimo Caso di Giallo Club

E' uscito in antologia multiautore autopubblicata su LULU un mio racconto "giallo" dal titolo: L'ULTIMO CASO selezionato per il concorso indetto da Giallo Club per Racconti noir. In tutto siamo in 18 autori con 23 racconti
Anche questo lo considero un successo e un esempio di come si possa concentrare ironia e suspence in poche righe.
Conosco già alcuni compresenti e questo mi fa piacere e onore.
Per chi vuole: http://www.lulu.com/shop/aavv/ombre-gialle-brividi-neri/paperback/product-22065016.html
Grazie a nome di tutti.

Il racconto verrà da me pubblicato qui di seguito tra un po', quel tanto che basta a far conoscere l'antologia e non disperdere l'alone pubblicitario costituito dall'uscita del volume. Abbiate pazienza, ma compratelo lo stesso.

domenica 8 febbraio 2015

LES INDIFFERENTS 1.

PECORA DELL'OVEST - Je ne suis pas Charlie


Da quanto io sia qui non lo so. Mi sono rifugiato in extremis poco prima che fuori scoppiasse l’inferno e ho trovato forse la mia salvezza. Per lo meno la mia sopravvivenza. Per quanto ancora non lo so.

So che qui c’è cibo, riserva d’acqua, c’è pure un trasmettitore, di quelli antesignani, ma funzionante. Non so chi mi riceva, chi sia in ascolto di ciò che dico. Ma interessa ancora ciò che dico? Non lo so.

So che fuori la battaglia è cessata perché non sento più rumori. Sono isolato, sordo o hanno proprio smesso di combattere? Chi ha vinto? Chi perso? In teoria vorrei saperlo, ma qui sto bene e non me ne frega niente.

Sono rifugiato senza futuro, e senza presente. Sono chiuso in questa gabbia senza sbarre senza cielo né aria. Sono qui a parlare con l’etere o l’infinito in attesa di segnale.

Sono vivo, respiro; penso, ma non ho idee, mi sembra di delirare per qualche febbre che non conosco. Non ho malinconie ma solo ricordi, non ho pensieri né ansie.

Eppure là fuori c’era la mia vita: la mia casa, il mio lavoro, la mia famiglia. Qui non ho nemmeno un carceriere contro cui inveire e Dio non so se esiste da anni.

Sono qui e non me ne frega niente, non voglio e non posso uscire. Non è istinto di sopravvivenza? Il futuro? Sempre uguale a ieri, all’oggi, sempre senza privacy né dignità, né accessori o tecnologia. Senza un posto dove pisciare o farsi un bagno ristoratore. Non conosco il tempo né l’ora, se piove o è sereno. Le stagioni seguiranno pure il loro percorso e i fiori o i frutti marciranno anche senza il mio consenso.

Sto impazzendo.

Solo, senza mode né gossip, notizie reali o fantasie erotiche di qualche giornaletto. Sono qui e non cerco compagnia. Non pietà né riconoscenza, non una moto né uno yacht o un jet privato.

Vorrei la tranquillità se la felicità non si compra né si raggiunge. Vorrei un pezzo di pane da condividere o da scambiare per un’ora d’aria.

Là fuori c’è il nemico. Hanno cancellato tutto, tutta la cultura e il sapere accumulato in secoli: musica, pittura, libri, statue, immagini, leggi, persino certi modi di dire. Hanno cancellato la bellezza e l’effimero, il piacere e il godimento, la differenza e la semplicità. A quale fine?

Loro distinguono, loro comandano e tu devi stare al gioco che non ci mettono né se né ma per giustiziarti sul posto.

Ci hanno provato in molti, da soli o in gruppo, ong o eserciti di stato. Nulla è servito: loro erano più forti perché lupi, lupi solitari pronti a immolarsi, cosa che noi abbiamo dimenticato o mai imparato, perché i nostri ideali li sappiamo mettere sul tavolo ma anche distruggere, a parole e a fatti.

Io ero uno di quelli, pronti a scattare per ogni buona causa, ma ora non so più nemmeno a quale padrone appartengo. Forse nemmeno a me stesso.

Sono qui e mi sento inutile: chi poi là fuori sarebbe ancora intenzionato a ricostruire, a ricominciare? Nessuno, ma non abbiamo perso: ci siamo semplicemente lasciati sopraffare, per inerzia, per aver sottovalutato il problema, per aver inchiodato le vittime e non licenziato i carnefici. Abbiamo perso anche la speranza e abbiamo visto il nemico ovunque, pure in noi stessi.

Siamo diventati noi gli scorpioni e mordendoci ci siamo dati la morte prima della fine, per non vedere, per non combattere perché le barricate sono cosa d’altri tempi. Eravamo proprio giunti al capolinea o avevamo solo preso una strada a fondo chiuso? Chiuso poi da cosa: un muro o dei semplici pali di legno posti di traverso? Avevamo proprio bisogno di soddisfare quelle voglie, strappare la terra per cementificarla solo per non scivolare?

Perché abbiamo abbandonato i sensi in favore dell’intelligenza e così facendo lasciarla aggredire se stessa in una lotta di supremazia e intolleranza?

Perché abbiamo smesso di guardarci allo specchio per ottenere risultati? Le risposte non sempre vengono registrate in database comuni: restano lì, abbozzate, insignificanti per i più.

Gli affetti si spengono nella distanza, la gola non arde sotto la pioggia, la pigrizia non si alza dal letto… e domani non è un altro giorno.

Sono qui e aspetto: che arrivino o meno, io continuo a consumare le scorte che qualcuno ha minuziosamente catalogato. Non c’è lista della spesa. Solo un conto da pagare.