lunedì 14 settembre 2015

LES INDIFFERENTS 8.


Passa uomo, passa.



E’ la nuova diaspora: fiumi di persone spinti da fame, disperazione, guerra, carestia, sottosviluppo, ma anche voglia di vivere una vita onesta e dignitosa. Percorrono chilometri con ogni mezzo accompagnati solo dal loro sogno di benessere. Avranno in mente una meta? Da dove avranno raccolto immagini o racconti di vita, della nostra, nei cosiddetti paesi civilizzati e industriosi – chiamarli industrializzati mi sembra ancora tanto un eufemismo -.

Si gettano, con poche cose, spesso con le sole che riescono a indossare, tra le braccia del destino. Sanno fare tutto e niente e non sanno cosa sia veramente la vita qui in occidente. Hanno nel cuore una capanna, la savana e tanti animali che nemmeno sappiamo noi come si chiamano liberi in un panorama che noi chiamiamo sogno. Hanno nelle orecchie ancora la voce del dittatore che richiama all’ordine, all’obbedienza e minaccia chi protesta od osa opporsi.

Loro non sanno che qui la democrazia non è in mano al popolo; non sanno cosa sia votare con libera coscienza; non sanno né di liste né di primarie, né tantomeno di leadership di partito. Loro pensano ancora che a governare ci siano dei grandi uomini saggi che come capi tribù decidono le sorti, i matrimoni, i confini.

Certo i confini: qui sono aperti, se non c’è il filo spinato o l’esercito con i suoi potenti mezzi a sorvegliare ,ma che spara a vista se non stai in fila. Altri però, invisibili se non al radar, sono pattugliati da gente come loro, povera ma gentile, che da una mano a traghettare su un mezzo meno instabile di un gommone. Gommoni: sovraccarichi di merce umana si stracciano o si rovesciano al minimo movimento e se il mare è mosso non avanzano. La scialuppa di Schettino o un relitto del Titanic pare loro comunque una nave da crociera.

Eppure appena sbarcano baciano la nostra terra come fosse la Mecca, la meta promessa di un Dio che non si chiama né Cristo né Allah, né Maometto, ma è presente anche solo per benedire il viaggio. Loro non sanno che noi a Dio non ci crediamo più, ma continuiamo ad accendere candele votive o ad andare a messa la domenica.

Vestiti di stracci, bagnati fradici, affamati e al limite della disidratazione continuano strenui perché la strada continua, perché ce ne sono tanti altri che camminano dietro, che la loro terra ormai è deserta ma non per colpa del clima. Avanzano, in fila indiana, aiutandosi come possono. Non chiedono elemosina, ma come in quadri antichissimi o nei racconti biblici seguono il loro capitano. Nessuno in verità guida la ciurma e lo sbando è palese. Sembra che nessuno riesca a fermarli e che nessun luogo sia abbastanza ospitale o accogliente. Lo sguardo perso, i ricordi appena lasciati in mano ad aguzzini, tirano a campare per salvare capre e cavoli. Nessuno li trattiene del resto perché qui spesso non ce n’è nemmeno per noi. Apriamo le nostre porte per moda o perbenismo, per “così fan tutti che è giusto”… ma se è giusto accogliere, sarebbe stato meglio reagire prima, quando ancora la loro patria si poteva salvare, quando i nostri interessi potevano essere meglio regolati o quando, sia pur in regime autoritario, le cose erano mantenute entro i limiti.

Anche noi vorremmo ribellarci, prendere le armi o solo i forconi… ma non troviamo i forconi e le armi le abbiamo vendute, tutte. Non sappiamo alzarci e dire no, per loro, per noi, per tutta la DEMOCRAZIA che ci hanno insegnato, bella dopo il re, disillusi ora del grande sogno. Ne paghiamo schiavi lo scotto, ma loro questo non lo sanno: vedono case belle (abusive), macchine lucide e potenti (rubate o in leasing) bei vestiti e tutte le diavolerie tecnologiche impensabili (e quanto costa farle funzionare). Loro però sorridono ai nostri bambini con i loro sono sempre in braccio o per mano ai genitori.

Guardiamoli passare allora come figure di un tempo che per noi è perduto e prendiamo esempio dalla loro umanità, umiltà, volontà. Passa, uomo, passa.