Passa uomo, passa.
E’ la nuova diaspora:
fiumi di persone spinti da fame, disperazione, guerra, carestia, sottosviluppo,
ma anche voglia di vivere una vita onesta e dignitosa. Percorrono chilometri
con ogni mezzo accompagnati solo dal loro sogno di benessere. Avranno in mente
una meta? Da dove avranno raccolto immagini o racconti di vita, della nostra,
nei cosiddetti paesi civilizzati e industriosi – chiamarli industrializzati mi
sembra ancora tanto un eufemismo -.
Si gettano, con poche
cose, spesso con le sole che riescono a indossare, tra le braccia del
destino. Sanno fare tutto e niente e non sanno cosa sia veramente la vita qui
in occidente. Hanno nel cuore una capanna, la savana e tanti animali che
nemmeno sappiamo noi come si chiamano liberi in un panorama che noi chiamiamo sogno. Hanno nelle orecchie ancora la voce del
dittatore che richiama all’ordine, all’obbedienza e minaccia chi protesta od osa
opporsi.
Loro non sanno che qui
la democrazia non è in mano al popolo; non sanno cosa sia votare con libera
coscienza; non sanno né di liste né di primarie, né tantomeno di leadership di
partito. Loro pensano ancora che a governare ci siano dei grandi uomini saggi
che come capi tribù decidono le sorti, i matrimoni, i confini.
Certo i confini: qui
sono aperti, se non c’è il filo spinato o l’esercito con i suoi potenti mezzi a
sorvegliare ,ma che spara a vista se non stai in fila. Altri però, invisibili se
non al radar, sono pattugliati da gente come loro, povera ma gentile, che da
una mano a traghettare su un mezzo meno instabile di un gommone. Gommoni:
sovraccarichi di merce umana si stracciano o si rovesciano al minimo movimento e
se il mare è mosso non avanzano. La scialuppa di Schettino o un relitto del
Titanic pare loro comunque una nave da crociera.
Eppure appena sbarcano
baciano la nostra terra come fosse la Mecca, la meta promessa di un Dio che non
si chiama né Cristo né Allah, né Maometto, ma è presente anche solo per
benedire il viaggio. Loro non sanno che noi a Dio non ci crediamo più, ma
continuiamo ad accendere candele votive o ad andare a messa la domenica.
Vestiti di stracci,
bagnati fradici, affamati e al limite della disidratazione continuano strenui
perché la strada continua, perché ce ne sono tanti altri che camminano dietro, che la loro
terra ormai è deserta ma non per colpa del clima. Avanzano, in fila indiana,
aiutandosi come possono. Non chiedono elemosina, ma come in quadri antichissimi
o nei racconti biblici seguono il loro capitano. Nessuno in verità guida la
ciurma e lo sbando è palese. Sembra che nessuno riesca a fermarli e che nessun
luogo sia abbastanza ospitale o accogliente. Lo sguardo perso, i ricordi appena
lasciati in mano ad aguzzini, tirano a campare per salvare capre e cavoli.
Nessuno li trattiene del resto perché qui spesso non ce n’è nemmeno per noi.
Apriamo le nostre porte per moda o perbenismo, per “così fan tutti che è
giusto”… ma se è giusto accogliere, sarebbe stato meglio reagire prima, quando
ancora la loro patria si poteva salvare, quando i nostri interessi potevano
essere meglio regolati o quando, sia pur in regime autoritario, le cose erano
mantenute entro i limiti.
Anche noi vorremmo
ribellarci, prendere le armi o solo i forconi… ma non troviamo i forconi e le
armi le abbiamo vendute, tutte. Non sappiamo alzarci e dire no, per loro, per
noi, per tutta la DEMOCRAZIA che ci hanno insegnato, bella dopo il re, disillusi
ora del grande sogno. Ne paghiamo schiavi lo scotto, ma loro questo non
lo sanno: vedono case belle (abusive), macchine lucide e potenti (rubate o in
leasing) bei vestiti e tutte le diavolerie tecnologiche impensabili (e quanto
costa farle funzionare). Loro però sorridono ai nostri bambini con i loro sono
sempre in braccio o per mano ai genitori.
Guardiamoli passare
allora come figure di un tempo che per noi è perduto e prendiamo esempio dalla
loro umanità, umiltà, volontà. Passa, uomo, passa.