lunedì 18 febbraio 2013

DI MEMORiA IL MALE

Quegli istanti no, non voglio ricordare.
Maresciallo, io no, non lo volevo ammazzare,
ma tanta rabbia dovevo sfogare,
che più lui non mi lasciava stare.
L’ho conosciuto una sera a maggio.
Pioveva assai e m’offrì un passaggio.
Gli occhi dolci sapeva fare
e mi giurò ch’al parco c’andavamo a incontrare.
Mamma mia, m’avevo a maritare,
che zitella non potevo stare!
Maresciallo, voi non sapete,
quanta d’amor tenevo sete.
Passavan gli anni e le notti
che tra le lenzuola facevamo i botti.
Poi non so come fu:
venne un giorno che non mi volle più.
Su consiglio della mamma,
nuda mi misi per fare la nanna!
Eppur non quello serviva a Franco
che dal lavoro tornava stanco.
Sol per vedere la partita,
Lei non sa che fatica!
Allor io quatta me ne uscii.
Me meschina, lui che capì?
In casa dovevo stare,
anche se nulla avevo da fare,
in cucina a lavorare,
e lui di là con il giornale!
Se la pasta stava scotta,
giù mi dava una gran botta.
Se il letto non era fatto,
lui diventava tutto matto.
Così sol per paura
tornai da mamma, ma che sventura!
Lui mi prese sotto casa
e mi porse anche una rosa.
Dimenticar, e chi può mai?
ma perdonar, tu lo farai!
Poi per poco fui contenta
di rimestare la polenta
che di nuovo per questione
lui mi diede col bastone.
Io lo dissi al curato
e lui tutto corrucciato:
“Qui una sola assoluzione:
vai tu subito alla stazione!”
Ve lo dissi quella volta
che nascer potea ‘na rivolta.
L’avete poi messo a verbale?
Lui se la prese molto a male.
Così più forte si fece a botte,
sia di giorno che di notte.
Tutto questo ho sopportato.
E per Amor ch’altro ho dato?
Ce ne andammo pur dal dottore,
due o tre volte, per due ore.
Lui però così rispose:
“Queste d’altri non son cose!”
Quindi a casa mi menò
brontolando in metrò.
Lì mi venne l’ideina
di fuggir dalla banchina.
Più forte allor mi strinse il braccio,
che di scappar non ce la faccio.
Il coltello, in cucina,
già mi fece l’acquolina.
Io lo presi per il pesce,
ma di sangue: quanto n’esce!
E voi gente non condannate!
Già bastavan le bussate.
Su, portatemi in prigione,
che, Marescia, c’è ragione.
Non guardatemi così:
io non potea più viver lì.
Da quel laccio mi son sciolta
e maledico quella svolta!
Se era lui il criminale,
che or affronti il Tribunale!
Se era lui il più brutale,
che or subisca il nostro male.
Se era lui il più fetente,
che di lui non resti niente.
Io so già qual è la pena,
ma son libera e serena.
Io d’amor non ho più sete
e rimango quel che vedete:
non più a testa china
né a scappar dalla banchina,
ma a far della memoria
che tutto questo non sia che storia.


(Componimento letto per la celebrazione della Giornata della memoria al salone del patronato della parrocchia del S. Bellino - Padova il 17 febbraio 2013)

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